lunedì, marzo 10, 2008

Una macchina per leggere i nostri pensieri ?

Proseguono gli studi per tentare di individuare, comprendere e interpretare, tramite apparecchiature diagnostiche o con tecnologie il più delle volte simili, i processi neuronali alla base del pensiero dell'essere umano.

Nature pubblica un articolo su uno studio dell'universita' della California a Berkeley: un team di scienziati, guidati dal Prof. Jack Gallant, neurologo, utilizzando una apparecchiatura (uno scanner) simile a quelle utilizzate per la diagnostica, riuscirebbe ad individuare (non sempre, ma in un numero di casi considerato significativo) quali immagini stiano osservando i volontari soggetti all'esperimento.

Alcuni media già da tempo parlano di macchine per la lettura della mente, o simile, e anche in questo caso (basta leggere i titoli) confermano questa idea.
In realtà, nell'esperimento in questione, i volontari devono prima osservare circa un migliaio di immagini, proiettate secondo una sequenza stabilita, mentre il sistema registra la loro attività cerebrale.

In una seconda fase, le immagini vengono poi proiettate casualmente, e sulla base dei dati rilevati precedentemente lo scanner riuscirebbe ad individuare, con una percentuale di successo del 90% su 120 immagini, e dell'80% su 1.000, quale immagine il soggetto stia osservando.

Non è quindi una macchina per la lettura del pensiero, ma per il Prof. Gallant dimostra che sia possibile “ricostruire l'immagine dell'esperienza visuale di un uomo misurando la sua attività cerebrale", e “nel giro di 30-50 anni” saranno disponibili scanner molto più veloci e sofisticati, tali da permettere ad esempio di comprendere le reazioni di una persona a determinate immagini, oppure di capire se stia mentendo.

Per il Prof. Gallant si aprono “enormi possibilità”, e “presto potremo avere una macchina capace di ricostruire in qualsiasi momento un'immagine dal cervello umano”.

Di fronte a tali prospettive, appare evidente la necessità di proseguire il dibattito etico sull'utilizzo e i limiti opportuni di tali tecnologie.

Link
ANSA - La Stampa - La Repubblica
PC

La Sindone tra Scienza e Fede

Intervista P. Gianfranco Berbenni 29.02.08 Sindone

Durante la Conferenza Internazionale “La Sindone tra Scienza e Fede”, organizzata lo scorso 29 febbraio dal Master in Scienza e Fede dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, in collaborazione con l’Istituto Veritatis Splendor di Bologna, abbiamo intervistato uno dei relatori, P. Gianfranco Berbenni.


Qual'è il significato teologico della Sindone ?

Il significato teologico della Sindone è nell’avere il corpo reale del Cristo avvolto nel telo; è quella che noi definiamo una reliquia, ma è una particolarissima reliquia, perché è l'unica che conserva traccia fisica del corpo di Gesù.


Lei è davanti all'ologramma, che è stato realizzato dal Dr. Soons e dal suo team, dell’Uomo della Sindone

Questa tecnologia è molto utile, non soltanto come lettura “ad effetto”, e di primo impatto tridimensionale, ma anche per gli scienziati, perché sono rese evidenti le volumetrie del corpo; chiaramente vanno poi indagate, analizzate, con l'aiuto di questo strumento, che mi sembra molto utile e interessante.


Nella Sindone qual'è il rapporto tra tecnologia e fede ?

La tecnologia è un umile e utile strumento per avere una base sempre più affidabile per ricostruire il processo, le torture, la crocifissione, e anche i cenni di risurrezione che si possono avere nella ematologia, cioè nella forma con la quale il sangue viene decalcato nella Sindone.
Per cui è davvero uno strumento privilegiato.


Alla luce anche delle recenti indiscrezioni sulle prossime dichiarazioni del Prof. Ramsey in una intervista alla BBC, cosa c'è di nuovo ?

Di nuovo qualcosa di banale, direi, ma provvidenziale. Banale nel senso che va perlomeno ripresa una nuova serie di indagini, sempre con il radiocarbonio 14, ma con gli aggiornamenti attuali di procedure e di tecnologie scientifiche.
Al tempo stesso, c'è la straordinarietà di riprendere questi risultati dopo vent'anni dal primo esame. E anche se può sembrare un “attentato” al metodo scientifico, attendere addirittura vent'anni per la seconda fase di indagini, se ha contribuito a calmare le acque tra i contrari e i favorevoli all'autenticità Sindonica, ben venga questo ventennio di attesa, e questo nuovo inizio delle ricerche al radiocarbonio.


Vede la possibilità di un nuovo “STURP” oggi ?

Sarebbe interessante costituire un nuovo STURP, cercando di evitare alcuni piccoli errori strutturali che ne possono indebolire la tenuta, specialmente nei percorsi scientifici pesanti o non previsti, però sarebbe certamente interessante riprendere le ricerche, eventualmente anche con giovani ricercatori degli Stati Uniti.


Paolo Centofanti
L’Osservatore Romano, 06.03.2008

Intervista all'arcivescovo Gianfranco Ravasi in occasione dell'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura

di Francesco M. Valiante

Tanto per cominciare, meno cattedratici e più giovani nei grandi eventi culturali.
Poi una bella spolverata al linguaggio troppo paludato e curiale della comunicazione ecclesiale. In generale, niente chiusure o integralismi ma dialogo a tutto campo con la scienza, la filosofia, l'economia. In particolare, mano tesa alle avanguardie e alle sperimentazioni nel campo artistico. Occhi puntati sulle realtà continentali, soprattutto su Asia e Africa. E maggiori risorse da investire in internet, dove forum e blog aprono spazi enormi di confronto con le grandi questioni esistenziali e religiose dell'uomo. Posta a monsignor Ravasi, la domanda classica "progetti per il futuro?" serve a scoperchiare una pentola in ebollizione. Da appena sei mesi presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, l'arcivescovo non è tipo da sottovalutare le potenzialità di un dicastero destinato a giocare un ruolo sempre più decisivo nel cruciale rapporto tra fede e modernità.

"Il nostro compito fondamentale - spiega in questa intervista concessa a "L'Osservatore Romano" alla vigilia della plenaria - dovrebbe essere soprattutto quello di far ritornare nell'uomo di cultura e di scienza il gusto delle domande iniziali, che vengono prima delle scelte tecniche". "Anche perché - aggiunge sorridendo - come diceva Oscar Wilde, a dare risposte sono capaci tutti, ma a porre le vere domande ci vuole un genio".

Cominciamo allora dalla domanda iniziale per eccellenza: che cos'è la cultura?

A esser sinceri, nessuno può dire effettivamente di saperlo. C'è un aggettivo a cui di solito si ricorre per tirarsi fuori dagli impacci: "trasversale". Con ciò si intende dire che la cultura è sempre più una visione di insieme e come tale passa attraverso tutti i percorsi umani. In questo senso, io sono convinto che occorra effettivamente arginare l'eccessiva parcellizzazione del sapere e dare più spazio ad una sana curiositas.

Le sembra che oggi la cultura vada in questa direzione? Direi che stiamo assistendo a un fenomeno singolare. Da un lato c'è molta superficialità, approssimazione: si parla di tutto senza sapere quasi niente. Ma, d'altra parte, la tendenza che veramente sconcerta - lo si è visto nella vicenda della mancata visita del Papa alla Sapienza - è proprio la desolante assenza di curiositas. Perché "sapere" non è solo conoscere ma avere "sapore", avere gusto per comprendere, vedere gli orizzonti al di là della semplice nozione di dati.

Ed evitare così che il confronto fra posizioni diverse finisca per trasformarsi in scontro?

Secondo me lo scontro può anche essere legittimo. Non è detto che occorra sempre arrivare all'accordo, anche perché di solito questo avviene al ribasso, su un minimo comune denominatore che non porta a nulla di produttivo. Però, bisognerebbe almeno ascoltare ciò che l'altro ha dentro. Ascoltare l'altro, ascoltare tutto, ma soprattutto ascoltare prima di parlare.

È un richiamo solo agli uomini di cultura laici o anche a quelli cattolici?

Non c'è dubbio che anche noi abbiamo un grande handicap nel dialogo interculturale. Non siamo sempre in grado, cioè di dimostrare che la verità non è un principio di blocco dell'attività razionale, ma è una parte importante della conoscenza: "La verità vi farà liberi". Abbiamo generato negli altri la convinzione che a noi non interessi la conoscenza, perché possediamo già una verità data una volta per tutte. Invece per sua natura il ;sapere, se vuole essere fecondo, deve avere come meta la ricerca della verità, deve sempre andare "verso".

Non sarà che la Chiesa non riesce a comunicare se stessa in maniera efficace?

Infatti. Ed è per questo che uno dei temi su cui vorrei puntare maggiormente l'attività del dicastero è quello del linguaggio. Bisogna riconoscere onestamente che oggi la Chiesa ha un deficit di comunicazione. Un deficit di linguaggio, appunto, ma anche di tempestività, di toni, di adeguatezza. Le verità della fede, i grandi progetti ecclesiali sono proposti, da una parte, in forme troppo stereotipate e, dall'altra, in modi vivaci, spumeggianti ma privi di contenuto effettivo.

È un problema di strumenti, di uomini o di contenuti?

È difficile fare distinzioni precise, anche perché ormai - come ci ha insegnato McLuhan - mezzo e messaggio sono talmente intrecciati tra loro da essere inscindibili. In ogni caso, questa autocritica dobbiamo farla anzitutto noi uomini di Chiesa, a cominciare dal modo con cui elaboriamo i documenti ecclesiali e dicasteriali. Occorre che impariamo a scriverli con l'orecchio e l'occhio sempre più attenti al mondo e al suo linguaggio.

Si riferisce anche ai documenti pontifici?

Al contrario. Bisogna dire che in questo campo il Papa mostra di essere molto più avanti dei dicasteri della Curia. Basti considerare il suo costante riferimento ad autori contemporanei, come si può vedere nell'ultima enciclica Spe salvi. Citare Horkheimer o Adorno, per esempio, suscita molto più interesse che non discettare di una teoria in modo generico. Vuol dire collocare le proprie idee all'interno di un dibattito immediato e diretto. Questo è, secondo me, lo stile giusto: riuscire ad attirare e a coinvolgere l'attenzione di chi legge, abbandonando il vecchio stile asettico del documento curiale.

E quali progetti ha in cantiere il dicastero sul tema della comunicazione?

Ho in mente tre ambiti in particolare: l'editoria, la radio e la comunicazione on line. Ma vorrei puntare soprattutto sul terzo, che è quello più attuale, interessante, anche se indubbiamente più complesso. È un settore che richiede tempestività e interattività: questo vuol dire tempo, risorse, energie.

Sta pensando ad un sito internet?

L'idea non è solo quella di un sito ma anche di una sorta di blog, cioè una possibilità concreta di interfacciarsi, di confrontarsi, accogliendo le provocazioni e le istanze più significative che emergono dalla gente. Noi dobbiamo riuscire a dare risposta a queste domande. E l'uso di internet ci insegna gradualmente anche un linguaggio più immediato e più diretto per rivolgerci alle persone, in particolare ai giovani.

Non le sembra che proprio i giovani siano lasciati ai margini di una cultura sempre più patrimonio degli addetti ai lavori?

Anche in questo caso dobbiamo recitare un mea culpa. Le nostre iniziative culturali fanno riferimento quasi sempre al mondo accademico: coinvolgono docenti, studiosi, esperti. Sarebbe invece molto interessante avere gruppi di studenti che ci sollecitano, ci interrogano, ci propongono. Personalmente voglio impegnarmi perché ci sia una presenza sistematica di giovani negli organismi che curano la preparazione dei grandi eventi culturali. Con il loro linguaggio - che ha le sue grammatiche, le sue caratteristiche, anche le sue corruzioni - porterebbero certamente un contributo di novità.

Ma il mondo della cultura è capace di ascoltarli?

Per quel che riguarda il Pontificio Consiglio io parto da una convinzione: un dicastero che parla e non ascolta sicuramente viene meno alla sua missione. Secondo me occorre sempre una reciprocità quando si dialoga: noi possiamo offrire indicazioni ai nostri interlocutori, ma anche loro possono offrirci informazioni, richieste, proposte. È uno stile che deve valere per tutta la nostra attività.

E quali strumenti concreti di ascolto avete a disposizione?

La struttura fondamentale a cui possiamo far riferimento è rappresentata dai centri culturali. È un insieme di organismi che sta acquisendo un ruolo sempre più significativo, soprattutto in continenti come l'Africa, l'Asia, l'America. Certo, si tratta di realtà molto diversificate: alcuni sono autentiche istituzioni, che da anni promuovono iniziative di alto livello - mostre, conferenze, grandi eventi culturali - mentre altri rappresentano semplicemente il primo tentativo di proporre un itinerario di formazione cristiana.

Attualmente quanti sono?

Non abbiamo mai fatto una verifica completa, ma direi che siamo sull'ordine di diverse migliaia. Pensi che solo la diocesi di Milano ne ha trecento, anche se si tratta di una concentrazione per molti versi eccezionale. In ogni caso, non bisogna illudersi che questi organismi possano vivere da soli. È necessario alimentarli, stimolarli, sollecitarli continuamente.

In che modo?

Intanto nei nostri incontri cerchiamo di coinvolgere sempre i loro rappresentanti, in modo che le indicazioni generali elaborate e poi fatte proprie dai vescovi non restino soltanto teoriche ma abbiano un minimo di verifica attraverso l'esperienza di questi centri. In linea generale, bisognerebbe considerare più attentamente le loro specificità e le loro esigenze. Perché se è vero che la globalizzazione sembra ormai omologare tutto, mai come in questo tempo si constata l'insorgenza delle singole identità culturali. Penso appunto all'Asia, in particolare alla Cina, ma anche all'India, dove convivono tradizioni religiose, antiche stratificazioni sociali e livelli altissimi di sviluppo tecnologico. È per questo che, alla fine di aprile, abbiamo in programma un incontro del dicastero in Nepal, un'area significativa proprio perché al confine tra Cina e India. Allo stesso modo, ai primi di luglio, a Dar Es Salaam, in Tanzania, avremo un incontro con gli episcopati e i delegati per la cultura dell'Africa anglofona e francofona. Qualcosa del genere vorremo realizzarla anche per l'America Latina.

Esiste un problema di coordinamento dei vari organismi culturali locali?

Certo. Ed è per questo che deve funzionare sempre più quel rapporto di reciprocità di cui parlavo prima. In ogni caso, l'esigenza di un coordinamento non riguarda solo l'attività ad extra del dicastero ma anche quella ad intra. Questo discorso si riferisce anzitutto agli organismi collegati organicamente al Pontificio Consiglio della Cultura, ossia le sette Accademie Pontificie. Ma si collega anche alla scelta del Papa di dare un unico presidente ai dicasteri della cultura, dei beni culturali della Chiesa e dell'archeologia sacra. Qui si apre un orizzonte molto più vasto, che è quello dell'arte intesa in senso ampio.

Che cosa significa in pratica?

Parlando di arte, il pensiero va subito alla pittura e alla scultura. Ma non bisogna dimenticare, per esempio, l'architettura, le lettere, la musica. Sono ambiti molto diversi tra di loro, che di solito rientrano nella categoria di "beni culturali". Bene, io penso ad un dicastero che sia in grado di fornire stimoli e indicazioni su questo oggettivo patrimonio: che suggerisca, per esempio, come gestire correttamente le biblioteche, come favorire il dialogo con gli artisti, come studiare il rapporto con la liturgia, come concepire la possibilità che l'arte del nostro tempo torni ad interrogarsi ancora sulla grande tradizione iconografica.

Ma qual è la situazione attuale dell'arte?

Basta sfogliare una rivista di arte contemporanea per capire come essa si stia avvitando su se stessa, diventando autorefenziale. Non ha più soggetti e continua a elaborare percorsi più che veri e propri discorsi. In questo senso, rilanciare l'attenzione sui grandi temi - che ormai l'artista non è più abituato a considerare perché lavora solo sul materico e non sullo spirituale - credo che sarebbe di grande beneficio per tutta l'arte contemporanea. Facciamo un esempio concreto. Consideri la nuova edizione tipica del lezionario domenicale della Conferenza episcopale italiana. A mio avviso si tratta di un'esperienza suggestiva, che va proprio in questa direzione. Vorrei sottolineare il tentativo, per esempio, di inserire nell'impianto illustrativo importanti esponenti della transavanguardia, come Palladino e Chia. Questo mostra, da un lato, che la Chiesa non è lontana dal linguaggio artistico corrente e, dall'altro, che essa stessa ha bisogno di rendersi più comprensibile al più vasto orizzonte artistico.

Nasce da qui la sua recente proposta di una presenza alla biennale di Venezia?

In verità si è trattato solo di un auspicio. Del resto, se pensiamo che alla fiera del libro di Francoforte sono presenti le edizioni religiose e alla stessa mostra cinematografica di Venezia viene assegnato ogni anno il premio dell'Organizzazione cattolica internazionale del cinema, non si vede perché non si possa immaginare una presenza analoga - da parte della Santa Sede ma anche soltanto del dicastero o di un altro organismo - nel luogo dove si elaborano le nuove grammatiche artistiche. Eppure le reazioni non sono sembrate del tutto entusiaste. Al di là di questo singolo caso - per il quale, ripeto, ho espresso un semplice auspicio - la mia esperienza mi dice che dall'altra parte non c'è di solito un atteggiamento preconcetto di rifiuto. C'è piuttosto la convinzione che la Chiesa sia andata ormai per un'altra strada. Ma nel momento in cui da parte nostra si dimostra interesse, le risposte che arrivano sono in prevalenza positive. Questo per quanto concerne l'arte.

E riguardo al mondo della scienza?

Mi sembra che alla scienza manchi oggi soprattutto la capacità delle grandi riflessioni. Io credo che lo scienziato debba porsi le domande etiche, proprio perché parte da una visione d'insieme dell'antropologia. Invece sta diventando sempre più un tecnico. E, di fronte alle grandi scelte, la risposta della tecnologia oscilla necessariamente su un ritmo binario: sì o no, possibile o non possibile. La tentazione di una certa scienza contemporanea è proprio quella di tagliare i nodi.

In che senso?

Prendiamo ad esempio l'aborto, con tutte le implicazioni che esso comporta per la donna e per il nascituro. O l'eutanasia, con la questione del rapporto tra sofferenza e dignità della persona. Qual è la soluzione che in genere si propone? Tagliare il nodo, eliminare il problema. C'è quasi sempre la tentazione di evitare le riflessioni più generali sulla complessità di questi eventi capitali dell'esistere. Mancano le grandi elaborazioni di tipo metodologico, filosofico. E invece si preferisce la soluzione più tecnica. Cioè la decisione drastica tra un sì o un no, tra il possibile e il non possibile.

C'è una via di uscita a questa drammatica alternativa?

Lo ripeto: ritorniamo alle grandi riflessioni metafisiche, che vanno al di là del semplice prodursi di fenomeni. Credo che temi fondamentali come quello della vita - non a caso si parla di una "cultura della vita" - lo esigano assolutamente. Per questo il nostro dicastero vuole dedicare un'attenzione particolare al rapporto tra scienza e teologia. Al di là del progetto Science, theology and the ontological quest (Stoq), già operante dal 2000, stiamo pensando a un forma di dialogo articolato e sistematico tra fede e scienza, che coinvolga anche la filosofia. Inoltre, vogliamo puntare molto sulla questione della non credenza, che fa parte delle radici storiche del Pontificio Consiglio della Cultura.

Ritiene che sia possibile su questi temi un dialogo con coloro che non credono?

Io penso di sì. A patto di abbandonare la strada della polemica spicciola e immediata - quella dei vari Humphrey, Odifreddi, Hitchens, Dawkins, per intenderci - e di intraprendere quella del confronto tra i sistemi, tra le grandi visioni della storia e del mondo. Un confronto, come ho già detto, che non deve approdare a tutti i costi a un accordo, ma deve nutrirsi di dialettica. Ciascuna posizione deve presentarsi con la sua identità, con il suo profilo. Bisogna portare avanti un dialogo serio, serrato, se occorre anche teso, a partire dalla Weltanschaung, dalla visione del mondo, dalla concezione dei valori e della società. È quello che è avvenuto, d'altronde, nel confronto ottocentesco tra il sistema idealistico e il cristianesimo, tra la visione marxista e la visione sociale della Chiesa.

Questo significa allargare la riflessione anche all'economia?

Sì, in particolare al suo rapporto con l'umanesimo. Sempre di più oggi l'economia, almeno quella di alto profilo, si concepisce come una scienza non solo tecnica, finanziaria, monetaristica, ma umanistica. Sono significative, in proposito, posizioni come quelle di Marty Hassen o del nobel americano Joseph Stiglitz. La vera economia, per esempio, deve tener conto anche della fame nel mondo, che paradossalmente è un fenomeno improduttivo. Questa visione è profondamente vicina alle grandi istanze della religiosità autentica. Ciò comporta, da parte nostra, un impegno a favorire l'elaborazione di un concetto di economia che cerchi di unire al suo interno tutte le dimensioni dell'essere umano in società.

©L'Osservatore Romano - 6 marzo 2008

domenica, marzo 09, 2008

Eventi recenti

La Sindone, tra scienza e fede

Si è svolta lo scorso 29 febbraio la Conferenza Internazionale sulla Sacra Sindone, organizzata presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum dal Master in Scienza e Fede, in collaborazione con l'Università Europea di Roma e l'Istituto Veritatis Splendor di Bologna.

Sono intervenuti il Prof. P. Rafael Pascual LC, che ha anche moderato l'incontro, il Prof. Nello Balossino, Vicedirettore del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, il Dott. Petrus Soons, che ha realizzato l'ologramma dell'Uomo della Sindone, il Prof. Avinoam Danin, Cattedratico di Botanica dell'Università Ebraica di Gerusalemme, il Prof. P. Gianfranco Berbenni (PUL, Roma) e il Prof. Luigi Mattei, autore della ricostruzione tridimensionale dell'Uomo della Sindone.


“Il senso del divino e il progresso scientifico”

Quattro incontri organizzati a Castel di Sangro, Sulmona, Introdacqua e Vittorito, sul tema del rapporto tra progresso scientifico e religione.

Mons. Spina ha parlato del necessario completarsi di fede e scienza: la prima spiega il “perché” delle cose, e da alla scienza una sua dimensione etica, la seconda spiega il “come”, e permette di evitare un “fideismo” errato.

Informazioni: Diocesi Sulmona-Valva, Ufficio comunicazioni sociali
curiasul@tin.it

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Rete 5

Il dialogo tra Scienza e Fede nel Progetto STOQ.

L'Osservatore Romano pubblica sul tema del dialogo tra Scienza e Fede nel Progetto STOQ una intervista a Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e un articolo di Mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda, Sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Cultura e Coordinatore Generale del Progetto STOQ.

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Progetto STOQ

“Ontogenesi, evoluzione, cosmologia: il dialogo non fa paura”
Per Mons. Ravasi, uno degli obiettivi del progetto STOQ è realizzare una nuova unità di scienza e conoscenza: “qualsiasi tipo di disciplina – spiega Mons. Ravasi - può dare una spiegazione, un'interpretazione esatta della realtà” che però “ha bisogno anche di altre prospettive per essere veramente completa”.
Per questo, il Progetto STOQ “recupera la categoria del dialogo”: un dialogo tra specialisti di varie discipline, tra scienziati e teologi, tra credenti e non credenti, e con esponenti anche di altre religioni.
Mons. Ravasi, anticipando anche futuri eventi sul tema del rapporto tra Scienza e Fede, ha anche parlato di alcune delle ricerche attuate nel Progetto STOQ, tra cui le teorie dell'evoluzione, la meccanica quantistica e le nuove teorie cosmologiche.
Link intervista:
SRMSRM Blog Fonte I Segni dei Tempi

©L'Osservatore Romano - 23 febbraio 2008, pagina 4


“Cielo e terra, il perenne connubio. Il confronto tra Chiesa e mondo scientifico alla luce del Progetto STOQ”

“Agli inizi del nuovo secolo – si chiede Mons. Sanchez de Toca y Alameda - quale dialogo è possibile tra fede e scienza, tra Chiesa e mondo scientifico?”
Tra il “pregiudizio della scienza verso la religione, considerata residuo di un passato oscuro, mitico e irrazionale”, e la “diffidenza della religione” verso una scienza riduzionista, materialista e caratterizzata da “un razionalismo ideologizzante e ideologizzato”, è necessario un nuovo dialogo tra scienza e fede, una nuova collaborazione e comprensione tra mondo scientifico e Chiesa.


Il Progetto STOQ ha raccolto la sfida, e così cerca di “superare gli intralci al confronto tra scienza e fede collocandosi in ideale continuità con la commissione di studio del caso Galileo, istituita da Giovanni Paolo II nel 1981”.
Un Comitato di sedici membri garantisce “la serietà scientifica delle attività promosse” dal progetto. Il Comitato si è riunito gli scorsi 23 e 24 febbraio a Roma, e una delegazione di suoi membri ha poi visitato gli Atenei Pontifici coinvolti nel Progetto, tra cui l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

Link articolo:
SRM - SRM Blog

©L'Osservatore Romano - 23 febbraio 2008, pagina 4

martedì, marzo 04, 2008

Il Distinguished Programme Development Committee STOQ in visita all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

Mons. Josef Zycinski, Arcivescovo di Lublino, Il Prof. Dominique Lambert, dell’Università di Namur (Belgio) e il Prof. Xavier Le Pichon, del Collège de France, membri del Comitato, hanno visitato lo scorso 27 febbraio l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

La delegazione ha incontrato il Rettore dell'Ateneo, P. Pedro Barajon LC, il Direttore del Master in Scienza e Fede, P. Rafael Pascual LC, i docenti, studenti e staff del Master e dell’Ateneo, e i responsabili dei diversi gruppi di studio e di ricerca del Master, tra cui Paolo Centofanti, Direttore di SRM – Science and Religion in Media.

L'incontro è stata una importante opportunità non solo per informare i membri del Comitato sulle attività del Master e dei Gruppi di Studio, ma anche per valutare alcune linee di tendenza e di interesse, come le collaborazioni internazionali (già definite o in fase di concretizzazione), il ruolo e il peso della comunicazione e dell'informazione nel definire il rapporto tra scienza e fede, gli aspetti di informazione e comunicazione sulle attività STOQ, nuove idee e ipotesi di nuovi progetti e attività.

P. Rafael Pascual LC ha presentato le attività del Master in Scienza e Fede, e dei Gruppi di Studio.

Paolo Centofanti ha illustrato le realizzazioni e i prossimi progetti di SRM - Science and Religion in Media.

Gianluca Casagrande ha presentato il Gruppo di Studio Geoastrolab, mostrando la stazione meteo e la postazione di gestione del sistema e dei dati.

Hanno partecipato all'incontro anche Mons. Melchor Sanchez de Toca y Alameda, Sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Cultura e Coordinatore Generale del Progetto STOQ e P. Tomasz Trafny, Officiale del Pontificio Consiglio della Cultura e Vicecoordinatore del Progetto STOQ.

Link SRM

La visita di Papa Benedetto XVI negli Stati Uniti: al centro, il rapporto tra fede e ragione

Papa Benedetto XVI, accogliendo l'invito all'Organizzazione delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, Segretario Generale ONU, sarà negli Stati Uniti dal 16 al 20 aprile.

Tema della visita negli Stati Uniti, collegandosi all'ultima enciclica del Santo Padre, “Spe Salvi”, sarà “Cristo Nostra Speranza”.

Tra gli argomenti affrontati, grande importanze per il rapporto tra fede e ragione, come sottolineato anche da un comunicato della Casa Bianca (link). Nel comunicato si legge che “Il Presidente e la Sig.ra Bush daranno il benvenuto a Sua Santità Papa Benedetto XVI”, che visiterà la Casa Bianca il 16 di aprile, e che “il Presidente e il Santo Padre proseguiranno le discussioni che erano iniziate durante la visita del Presidente in Vaticano, a giugno 2007, sul loro comune impegno per l'importanza di fede e ragione nel conseguire obiettivi condivisi”.

Tra questi, “accrescere la pace in Medio Oriente e in altre travagliate regioni, promuovere la comprensione inter-religiosa, e rafforzare i diritti umani e la libertà, specialmente religiosa, in tutto il mondo”. Obiettivi che sono stati presentati il giorno dell'arrivo a Roma del nuovo ambasciatore americano presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon, già Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, e membro del Pontifico Consiglio per i Laici.

La signora Glendon, cattolica, esperta di bioetica, diritto costituzionale comparato e diritti umani, docente universitaria, ha dichiarato che "le relazioni tra Stati Uniti e Santa Sede hanno al loro centro l'impegno comune per la dignità di ogni uomo, donna e bambino".

Sulla prossima visita papale è stato realizzato un apposito sito web, www.uspapalvisit.org, dove è possibile reperire informazioni, insieme ai siti delle diocesi di Washington e New York e ovviamente ai siti Vaticani.

Recensioni: “L'anima e il suo destino” - 2

Corrado Marucci, La Civiltà Cattolica

Da L'Osservatore Romano del 2 febbraio 2008

Anche Corrado Marucci, su “La Civiltà Cattolica” critica fortemente il volume di Mancuso.

Quella di Mancuso, spiega, è una sorta di "teologia laica" , concepita in modo “tale da poter sussistere di fronte alla scienza e alla filosofia".

Tra gli errori, l'avere come “referente”, la "coscienza laica", ovvero "la ricerca della verità in sé e per sé"; l'attribuire “alla dottrina ecclesiale l'idea che per essa l'anima sia una sostanza, cosa assolutamente erronea”; l'idea, nel capitolo sull'origine dell'anima, “che lo spirito, in quanto energia, possa derivare dalla materia”, e sia quindi possibile “un concetto di spirito che non è quello di cui parla tutta la tradizione cristiana”, ma sembra “appellarsi alla fisica einsteiniana”, con una “idea perlomeno bizzarra”.

Anche il dichiarare “tutti i contenuti veicolati dal dogma del peccato originale devono essere riformulati o abbandonati” è un errore grave, teologicamente inaccettabile, così come il tentare di confutare (un intero capitolo) il “dogma dell'eternità” dell'inferno; ancora più grave sostenere “che non ci sarà alcun ritorno del Gesù glorioso”, e che le frasi corrispondenti questa nuova venuta, presenti nel Nuovo Testamento, sarebbero “errori di Gesù e di Paolo”.

Singolare, per Marucci, anche che Mancuso possa spiegare perché "Dio non è mai intervenuto direttamente nella storia" e perché "non tutta la Bibbia è parola di Dio".

Marucci traccia un giudizio sull'opera totalmente negativo. “L'assenza quasi totale di una teologia biblica e della recente letteratura teologica non italiana, – conclude - oltre all'assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce l'autore a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica”.

Il dialogo tra Scienza e Fede nel Progetto STOQ - 2

Cielo e terra, il perenne connubio
Il confronto tra Chiesa e mondo scientifico alla luce del Progetto STOQ

Di Melchor Sánchez de Toca y Alameda, Sotto-segretario Pontificio Consiglio della Cultura, Coordinatore Generale del Progetto STOQ

Agli inizi del nuovo secolo quale dia­logo è possibile tra fede e scienza, tra Chiesa e mondo scientifico? La lunga vicenda di contrapposizioni, e talvolta di chiusure, tra le due diverse prospettive culturali non si è sviluppata senza produrre dolorosi effetti. E proprio la mancanza di confronto tra mondo scientifico e mondo religioso ha generato, come sottolineava il Papa Giovanni Paolo II, a proposito del caso Galileo, «una tragica reciproca incomprensione, interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede». Sono così sorti i noti pregiudizi reciproci: pregiudizio della scienza verso la religione, con­siderata residuo di un passato oscuro, mitico e irrazionale; diffidenza della religione verso la scienza nel momento in cui essa minaccia di ri­durre l'uomo, e il mondo, alla sole categorie materialistiche basandosi su un razionalismo ideologizzante e ideologizzato. Il dialogo tra scienza e fede sembra venire a porsi come condizione necessaria alla definizio­ne di nuovi presupposti di collaborazione e di comprensione tra mondo scientifico e Chiesa. Le sfide suscitate dalla meccanica quantistica, dagli studi e dalle nuove teorie astrofisiche, nonché dai nuovi contributi derivanti dalle teo­rie evoluzionistiche devono potersi tradurre, do­po esigente esame critico, in idee in grado di fornire sostegno e aggiornamento agli studi filo­sofici e teologici. Ciò tenendo conto del rispetto delle particolarità epistemologiche come condi­zione necessaria per un dialogo fattivo tra disci­pline diverse. Il Progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Quest), nato in seguito al Giubileo degli scienziati, celebrato il 25 maggio 2000, ha raccolto la sfida: superare gli intralci al confron­to tra scienza e fede collocandosi in ideale con­tinuità con la commissione di studio del caso Galileo, istituita da Giovanni Paolo II nel 1981. Il nome stesso — STOQ — rivela evidentemente gli obiettivi da perseguire: il dialogo tra scienza, filosofia e teologia. Il Progetto vuole infatti approfondire i problemi epistemologici, storici e culturali soggiacenti al rapporto tra scienza e fede e attuare nelle università pontificie, e a più vasto livello culturale, quella visione organica del sapere auspicata da Giovanni Paolo II nel­l'enciclica Fides et Ratio (n. 35). Esso rappresen­ta un mezzo per esprimere, attraverso un vasto ventaglio di iniziative ed attività accademiche, l'attenzione verso un rinnovato dialogo tra teo­logi, filosofi e scienziati, tra la Chiesa e il mon­do della scienza. Il Pontificio Consiglio della Cultura, consape­vole dell'importanza di incentivare posizioni di dialogo su questi temi fondamentali per la cul­tura contemporanea, si è pienamente fatto cari­co di promuovere questa iniziativa che è in fase di espansione ed è sostenuta economicamente da alcune fondazioni ed organizzazioni, tra le quali anche la John Templeton Foundation. Sono coinvolte ben sei Università Pontificie — Pontificia Università Gregoriana, Pontificia Università Lateranense, Ateneo Regina Apostolorum, Pontificia Università della Santa Croce, Pontificia Università Salesiana, Pontificia Uni­versità San Tommaso d'Aquino — impegnate in una serie di iniziative di insegnamento, ricer­ca e divulgazione, le quali hanno promosso cor­si, seminari, cicli di conferenze, congressi inter­nazionali e pubblicazioni raggiungibili anche on-line relativi al rapporto tra scien­za e fede. Il progetto è aperto anche alla collaborazione con università, statali e private, europee ed america­ne ed inoltre prevede l'assegnazione di borse di studio per permettere a giovani studiosi di realizzare indagi­ni e tesi dottorali nell'ambito del rapporto tra scienza e fede. La serietà scientifica delle attività promosse da questo progetto, è garantita da un comitato (Distinguished Programme Development Committee) costituito da sedi­ci membri, tra i quali figurano eminenti perso­nalità di scienziati, di filosofi e di teologi non solo cattolici, tra cui il premio Nobel Werner Arber, Jean-Michel Dercourt, segretario perpe­tuo delle accademie delle scienze, Michael Hel­ler, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, John Polkinghorne, cattedratico di Cambridge per la fisica delle particelle e fondatore della Società internazionale per la ricerca in scienza e religione, Josef Zycinski, membro del Comitato di biologia evoluzionista e teoreti­ca dell'Accademia delle scienze. La compresen­za di cattolici e non cattolici nell'ambito di questo comitato scientifico esprime la consape­volezza da parte della Chiesa dell'esigenza di dialogo, di ascolto e di confronto con il mondo scientifico. Questo comitato scientifico di valu­tazione si incontra periodicamente a Roma per valutare le attività del Progetto STOQ. Il 23-24 febbraio si terrà, nella sala conferenze dell'Hotel Michelangelo, l'incontro del 2008 di questi stu­diosi. Ad introdurre i lavori sarà monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che ha mostrato sem­pre sensibilità ed attenzione particolari nei con­fronti di tali questioni. Il meeting, in virtù del­l'alto profilo scientifico garantito dalle persona­lità coinvolte, è dunque una ulteriore occasione sia per dare nuovo impulso al Progetto STOQ pianificandone le prossime attività: sia per par­lare di scienza e fede in un'ottica costruttiva di rinnovato e fecondo dialogo tra la Chiesa ed il mondo scientifico.

L'Osservatore Romano, sabato 23 marzo 2008, pagina 4

Link SRM

Intervista a P. Ramon Lucas Lucas

SRM ha intervistato P. Ramon Lucas sul suo recente libro, “Orizzonte Verticale”, e in particolare sul rapporto della comunicazione e l'informazione con la dimensione trascendente, religiosa ed etica dell'essere umano.

Perché Orizzonte Verticale, e qual è il significato ?
Il titolo potrebbe sembrare contraddittorio, in realtà cerca di mostrare che l’uomo ha, nella sua orizzontalità terrena, nella sua corporeità, una dimensione trascendente.
Questo si mostra in moltissime delle attività tipicamente umane, prenda ad esempio la sessualità umana, che è molto legata alla struttura biologica corporea. Una sessualità umana, per viverla in pienezza, deve essere sempre aperta all’altro, dialogare con l’altro, rispettare l’altro; e ciò significa una verticalità, non dipendere soltanto dalla istintualità.
La sessualità non è quindi soltanto istintualità, ma porta dentro di sé la trascendenza, l’apertura e il dialogo con l’altro.
Prendiamo un altro esempio, il dialogo e il rapporto con il mondo, l’ecologia, gli animali. Nel momento in cui l’uomo non è soltanto materia, non è soltanto biologia, ma ha una responsabilità riguardo al mondo, perché ha questa responsabilità che non è demandata e non è richiesta al cane ?
Precisamente perché la sua posizione riguardo al mondo è speciale per la sua verticalità.
Anche l’orizzonte fisico sembrerebbe che sia sempre piatto, ma non è detto.
Se noi andiamo nell’alta Domodossola, nelle Alpi, l’orizzonte è ben verticale, per le montagne, e non è una verticalità aggiunta all’orizzontalità, ma è intrinseca a quella orizzontalità, così come la dimensione religiosa, la dimensione spirituale, la dimensione morale, che sono i segni della verticalità, sono radicati nella dimensione corporea, mondana dell’uomo, che è la orizzontalità.

Come entrano in questa dimensione la comunicazione e l’informazione, in che modo definiscono l’orizzonte ?
Soprattutto nell’uso del linguaggio, ad esempio. L’uomo comunica con gli altri, anche gli animali comunicano tra di loro e comunicano con l’uomo, ma il modo di comunicare umano è tramite un linguaggio articolato, simbolico, concettuale, e in questo senso la verticalità dove si manifesta ?
Si manifesta in questa astrazione, in questa convenzionalità del linguaggio che non è fatto soltanto da segnali, e che non è un artificio ma è un modo di trasmettere, non soltanto informazioni, ma di trasmettere valori, di rapportarsi con i fini di qui anche il rischio in una comunicazione umana di manipolare il linguaggio al fine di stravolgere la realtà.

Una manipolazione inconsapevole o strategica ?
In alcuni campi certamente inconsapevole e non responsabile, se non in causa.
In altri campi, sto pensando ad esempio alla bioetica, è strategica. C’è tutto un movimento per cui l’aborto si chiama interruzione della gravidanza, ma non è interruzione perché nel linguaggio interruzione significa fare una pausa e poi continuare. Invece nell’aborto non si fa una pausa alcuna e poi si continua: si elimina. Dunque non si dovrebbe dire interruzione, ma eliminazione della gravidanza. Dicasi per esempio la confusione che si sta cercando di introdurre tra concepimento come risultato della fecondazione o concepimento inteso come annidamento nell’utero. Evidentemente sono tutti usi linguistici che cercano di mascherare una realtà. A fini che non sono proprio quelli di difendere la struttura biologica e umana.

Quindi una distorsione semantica che cerca di distorcere la realtà ?
Quando è intenzionale si.

Paolo Centofanti

Il dialogo tra Scienza e Fede nel Progetto STOQ - 1

L'Osservatore Romano pubblica sul tema del dialogo tra Scienza e Fede nel Progetto STOQ una intervista a Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e un articolo di Mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda, Sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Cultura e Coordinatore Generale del Progetto STOQ.

Ontogenesi, evoluzione, cosmologia: il dialogo non fa paura. Gianfranco Ravasi

di Luca M. Possati

Lo scopo del progetto Stoq è costruire un ponte filosofico tra teologia e scienza, favorire un sapere più globale e universale. Ma perché oggi pensare l'unità del sapere è diventato così difficile ?
È vero. Ci troviamo in un orizzonte nel quale domina sempre di più la conoscenza specialistica, e questo rappresenta un valore di per sé. Il problema è che la conoscenza specialistica tendenzialmente si orienta ad una forma di autosufficienza, di autoreferenzialità, costruisce quasi un'oasi propria nella quale tenta di trovare tutte le risposte possibili. Al contrario, la grande visione della Sapienza, la vera intelligenza del reale, è proprio quella che il mondo greco definiva con un termine suggestivo - methorios - che vuol dire letteralmente: "colui che sta sulle frontiere, sui crinali"; cioè colui che riesce a guardare dall'una e dall'altra parte pur mantenendo i piedi nel suo territorio. Per questo penso sia importante ritornare attraverso il dialogo a stabilire una nuova forma di conoscenza che sia "sulle frontiere", che tenga conto della diversità dei territori, ma non si rinchiuda, non alzi le barriere, restando ferma soltanto nella propria specializzazione. E questo deve valere sia per la teologia sia per la scienza.

Che tipo di "unità del sapere" il progetto intende costruire ? Come integrare prospettive e metodi diversi pur rispettandone la peculiarità e l'autonomia ?
Noi abbiamo sempre un unico oggetto al centro della nostra considerazione: la realtà dell'uomo. Realtà estremamente complessa; e passibile di analisi da prospettive differenti. Immaginiamo una riproduzione fotografica: sappiamo bene che essa non è mai la rappresentazione della realtà come tale, esclusiva e compiuta. Il risultato è sempre differente. Allo stesso modo, qualsiasi tipo di disciplina può dare una spiegazione, un'interpretazione esatta della realtà, la quale, tuttavia, ha bisogno anche di altre prospettive per essere veramente completa. In questa luce, direi che il progetto Stoq recupera la categoria del dialogo intesa in senso stretto, un dialogo che suppone voci, logos, ragionamenti intrecciati tra loro. Sarà quindi, il nostro, un lavoro paziente, contro tutte le odierne tentazioni di esclusivismo o di integralismo.

In che misura il progetto Stoq può rivolgersi anche ai non credenti o ai credenti di altre confessioni ?
È una delle sfide più complesse e delicate da affrontare. Il nostro desiderio è mantenere il più possibile il rigore dell'analisi teologica, senza cedimenti facili a sincretismi o a concordismi, e senza nessuna tentazione all'autodifesa che esclude qualsiasi possibilità di comunicazione. Il rigore del metodo è la cosa principale. Se si configura in maniera netta e precisa lo statuto della teologia e, allo stesso tempo, lo scienziato può disporre di tutti i canoni suoi propri, di tutte le qualifiche della sua ricerca, posta questa dichiarazione di principio, allora è chiaro che il dialogo diventa possibile. Non si deve imporre un modello all'altro, e viceversa. La vera difficoltà sta nel confronto tra i modelli, perché l'oggetto - dicevamo - è sempre lo stesso. Proprio seguendo tale linea, abbiamo intenzione di organizzare in futuro un convegno sulle teorie dell'evoluzione. Per quest'occasione chiameremo scienziati e teologi capaci di un lavoro rigoroso, senza esasperazioni scientiste o sbavature di tipo apologetico. Gli scienziati debbono sentirsi rispettati e tutelati nella loro libertà di ricerca, ma dovrebbero anche essere disponibili a confrontarsi con l'altro modello rigoroso teologico loro proposto. Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, quest'aspetto potrà essere costruito ove anche le altre religioni siano disponibili ad adottare un metodo altrettanto rigoroso.

Quali sono i temi su cui il progetto Stoq ha lavorato di più in questi anni ?
L'ultimo è stato quello dell'ontogenesi, cioè la formazione della persona umana in tutto l'itinerario di sviluppo, e quindi dall'inizio assoluto, l'embriologia, fino alla fine. Questa ricerca sull'ontogenesi è stato il frutto del convegno dello scorso novembre, forse il più impegnativo. Adesso le ricerche si stanno concentrando sul problema dell'evoluzione, o meglio sulle molteplici teorie dell'evoluzione. C'è stato poi un interesse molto forte sul tema dell'infinito, dal punto di vista fisico e da quello teologico. Un altro aspetto è quello della meccanica quantistica, le nuove teorie cosmologiche. Alla base, però, l'elemento sul quale io continuerò sempre ad insistere è il rigore epistemologico. Solo così si possono evitare i pregiudizi della scienza nei confronti della religione, spesso vista soltanto come un residuo mitico e irrazionale, e la diffidenza da parte della teologia verso la scienza nel momento in cui essa sembra voler ridurre l'uomo alla materia soltanto. Nella sua pienezza, invece, la scienza dev'essere autonoma e non prevaricatrice.

Quali sono le reazioni che il progetto ha suscitato nella comunità scientifica internazionale ?
Una dimensione internazionale esiste, a partire proprio dal Comitato scientifico alla base del progetto, costituito da sedici membri tra i quali un premio Nobel, scienziati, filosofi e teologi, anche non cattolici, tutte figure di livello mondiale. Anche per questo convegno sulle teorie dell'evoluzione cercheremo di coinvolgere una serie di studiosi di assoluto livello che hanno già dimostrato interesse. Un aspetto da sottolineare credo sia la curiosità che molti uomini di scienza hanno dimostrato per il fatto che un'iniziativa come questa, sia stata proposta e organizzata dalla Santa Sede. Tra parentesi, siamo riusciti a coinvolgere ormai tutte le università pontificie romane. L'ultima a mancare era l'Urbaniana. Adesso anche questo ateneo sta aderendo al progetto.

Avete incontrato finora dei problemi nella gestione del progetto ?
No. Non abbiamo avuto particolari difficoltà. Ultimamente ho cercato, mandando una mia delegazione negli Stati Uniti, di trovare nuovi fondi, perché non si tratta solo di fare convegni e incontri, di tenere viva la struttura fondamentale permanente, ma anche di dare la possibilità agli studenti delle università romane di continuare la ricerca con borse di studio. Risultati ce ne sono stati: abbiamo ricevuto sostegni interessanti da alcune istituzioni americane non solo cattoliche. Un elemento importantissimo del progetto è la diffusione. Lo scopo ultimo è quello di fondare una scuola articolata in più università che continui a muoversi, con alunni che possano diffondere questi metodi in tutto il mondo.

L'Osservatore Romano - 23 febbraio 2008, pagina 4

lunedì, marzo 03, 2008

Recensioni: “L'anima e il suo destino”

Monsignor Bruno Forte.

Da L'Osservatore Romano del 2 febbraio 2008

L'Osservatore Romano pubblica due recensioni critiche al libro di Vito Mancuso, “L'anima e il suo destino”.

Mancuso, docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, affronta il tema dell'anima, della sua esistenza, della vita e della morte, del suo destino.

Già nella lettera di apertura del volume, del Cardinale Carlo Maria Martini, si preannunciava che “il libro incontrerà opposizioni e critiche, ma sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenerne conto”, e nella scheda sul sito dell'editore (Raffaello Cortina Editore), si legge anche che il libro tratta questi temi “criticando alcuni dogmi consolidati”.

Monsignor Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, autore del primo commento pubblicato dall'Osservatore Romano, parla di una “tensione” insita delle opere di Mancuso, che affronta costantemente il tema “della sfida del male che devasta la terra”, ma anche di “un senso di profondo disagio e alcune forti obiezioni”, che pensa sia necessario mostrare “nello spirito di quel servizio alla Verità, cui tutti siamo chiamati”.

La prima obiezione è verso il tentativo di Mancuso di “vanificare il peccato originale e la sua forza attiva” nell'essere umano, e conseguentemente banalizzando “la stessa condizione umana e la lotta col Principe di questo mondo, che proprio Mancuso (nei suoi saggi precedenti) aveva rivendicato contro l'ottimismo idealistico di Hegel”.

Altro problema, “conseguenza di queste premesse, è la dissoluzione della soteriologia cristiana: se non si dà il male radicale – spiega Monsignor Forte - e dunque il peccato originale e la sua forza devastante, su cui appoggia la sua azione il grande Avversario, la salvezza si risolve in un tranquillo esercizio di vita morale”, senza “tensione agonica” e senza “bisogno di alcun soccorso dall'alto: "salvarsi l'anima" non sarebbe né più né meno che una sorta di autoredenzione”, e non dipenderebbe “dall'adesione della mente a un evento storico esteriore, sia esso pure la morte di croce di Cristo”, né “da una misteriosa grazia che discende dal cielo", e la stessa “risurrezione di Cristo risulterebbe così del tutto superflua”.

Incontro a Bologna sul discorso del Pontefice per La Sapienza

L'Istituto Veritatis Splendor e il Centro Culturale Enrico Manfredini hanno organizzato presso l'Università di Bologna l'evento "Benedetto XVI e La Sapienza. Una lezione da non perdere", un incontro con il Cardinale Carlo Caffarra, Giorgio Israel, Pier Ugo Calzolari e Monsignor Lino Goriup.

Un modo per parlare di cultura, di laicità, di fede e ragione, di tolleranza e dialogo interculturale e interreligioso, partendo dalla mancata lectio magistralis del Pontefice alla “Sapienza”.

Per il Cardinale Caffarra, Arcivescovo di Bologna e Presidente dell'Istituto Veritatis Splendor (fondato dal Cardinale Giacomo Biffi), che ha inviato un messaggio, non potendo essere presente per sopraggiunti impegni, nel costante richiamo di Papa Benedetto XVI all'uso della ragione, c'è “l'incontro di temi teoretici e di preoccupazione pastorale”, l'invito a cercare la verità e il senso dell'esistenza umana e del creato. Le stesse “difficoltà di questa ricerca - ha spiegato - sono al contempo segno della grandezza e della miseria umana”.

Il Cardinale ha anche esortato i giovani presenti a mettere in pratica l'esempio di Dante: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”

Pier Ugo Calzolari, Magnifico Rettore dell'Università di Bologna, ha sottolineato il valore ma anche i limiti della scienza, in particolare quando, come nel caso delle opposizioni alla lectio e alla visita del Pontefice alla Sapienza, scambia per autonomia culturale il rifiuto il dialogo; un atteggiamento che presuppone di essere possessori di verità assolute, illogico per chi come scienziato dovrebbe usare la ragione, e che rischia di divenire una sorta di “inquisizione laica”.
Ed è singolare, che questo avvenga in Italia, nei confronti del capo della Cristianità, quando è stata proprio la cultura cristiana a dare origine alla laicità.

Per Monsignor Lino Goriup, vicario episcopale per la cultura e per la comunicazione della Chiesa di Bologna, è da evidenziare il modo originale con cui Papa Benedetto XVI, come Vescovo di Roma e come maggiore rappresentante della Chiesa Cattolica, erede di una tradizione millenaria di scienza e di sapienza, si proponga anche come rappresentante di una "sapienza umana", che pone la ragione e la ragionevolezza come l'Incarnazione del Logos divino in Cristo Gesù - può a buon diritto farsi voce di una domanda universale del cuore umano oltre che proporsi maestra di vita e di pensiero. Monsignor Goriup ha successivamente stabilito una suggestiva relazione tra l'allocuzione per La Sapienza e il discorso che il Papa tenne a Pavia nel corso della sua visita pastorale del 22 aprile 2007. Anche in quella circostanza incoraggiò il mondo accademico a ritrovare il senso dell'appassionata e assidua ricerca del vero inteso come verità della vita e per la vita. "Aver reso impossibile l'ascolto della proposta intellettuale e intelligente della Chiesa - ha poi concluso - significa aver perso l'occasione di un prezioso richiamo ad allargare gli orizzonti di una ragione che finisce per smarrirsi quando rinchiude se stessa e il mondo nei limiti della prevedibilità e della ripetizione".

Giorgio Israel, ordinario di matematiche complementari presso l'università di Roma La Sapienza, aveva sostenuto il Pontefice in un'articolo sull'Osservatore Romano, in una intervista a Zenit ed SRM, e in più interventi sul proprio blog e altre pubblicazioni. Anche lui da sempre sostenitore di un possibile dialogo tra ragione e religione, e oppositore di una visione naturalistica della ragione stessa, e deterministica della scienza. La ragione deve aprirsi alla fede, alla spiritualità, alle tradizioni e alla cultura; e una società chge non comprenda questo, che abbia una visione puramente deterministica del mondo e dell'essere umano, rischia una deriva totalitaria.

L'incontro è stato moderato da Ivo Colozzi, ordinario di Sociologia presso l'Università di Bologna.

Fonte L'Osservatore Romano, 2 febbraio 2008