Monsignor Bruno Forte.
Da L'Osservatore Romano del 2 febbraio 2008
L'Osservatore Romano pubblica due recensioni critiche al libro di Vito Mancuso, “L'anima e il suo destino”.
Mancuso, docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, affronta il tema dell'anima, della sua esistenza, della vita e della morte, del suo destino.
Già nella lettera di apertura del volume, del Cardinale Carlo Maria Martini, si preannunciava che “il libro incontrerà opposizioni e critiche, ma sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenerne conto”, e nella scheda sul sito dell'editore (Raffaello Cortina Editore), si legge anche che il libro tratta questi temi “criticando alcuni dogmi consolidati”.
Monsignor Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, autore del primo commento pubblicato dall'Osservatore Romano, parla di una “tensione” insita delle opere di Mancuso, che affronta costantemente il tema “della sfida del male che devasta la terra”, ma anche di “un senso di profondo disagio e alcune forti obiezioni”, che pensa sia necessario mostrare “nello spirito di quel servizio alla Verità, cui tutti siamo chiamati”.
La prima obiezione è verso il tentativo di Mancuso di “vanificare il peccato originale e la sua forza attiva” nell'essere umano, e conseguentemente banalizzando “la stessa condizione umana e la lotta col Principe di questo mondo, che proprio Mancuso (nei suoi saggi precedenti) aveva rivendicato contro l'ottimismo idealistico di Hegel”.
Altro problema, “conseguenza di queste premesse, è la dissoluzione della soteriologia cristiana: se non si dà il male radicale – spiega Monsignor Forte - e dunque il peccato originale e la sua forza devastante, su cui appoggia la sua azione il grande Avversario, la salvezza si risolve in un tranquillo esercizio di vita morale”, senza “tensione agonica” e senza “bisogno di alcun soccorso dall'alto: "salvarsi l'anima" non sarebbe né più né meno che una sorta di autoredenzione”, e non dipenderebbe “dall'adesione della mente a un evento storico esteriore, sia esso pure la morte di croce di Cristo”, né “da una misteriosa grazia che discende dal cielo", e la stessa “risurrezione di Cristo risulterebbe così del tutto superflua”.
Da L'Osservatore Romano del 2 febbraio 2008
L'Osservatore Romano pubblica due recensioni critiche al libro di Vito Mancuso, “L'anima e il suo destino”.
Mancuso, docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, affronta il tema dell'anima, della sua esistenza, della vita e della morte, del suo destino.
Già nella lettera di apertura del volume, del Cardinale Carlo Maria Martini, si preannunciava che “il libro incontrerà opposizioni e critiche, ma sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenerne conto”, e nella scheda sul sito dell'editore (Raffaello Cortina Editore), si legge anche che il libro tratta questi temi “criticando alcuni dogmi consolidati”.
Monsignor Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, autore del primo commento pubblicato dall'Osservatore Romano, parla di una “tensione” insita delle opere di Mancuso, che affronta costantemente il tema “della sfida del male che devasta la terra”, ma anche di “un senso di profondo disagio e alcune forti obiezioni”, che pensa sia necessario mostrare “nello spirito di quel servizio alla Verità, cui tutti siamo chiamati”.
La prima obiezione è verso il tentativo di Mancuso di “vanificare il peccato originale e la sua forza attiva” nell'essere umano, e conseguentemente banalizzando “la stessa condizione umana e la lotta col Principe di questo mondo, che proprio Mancuso (nei suoi saggi precedenti) aveva rivendicato contro l'ottimismo idealistico di Hegel”.
Altro problema, “conseguenza di queste premesse, è la dissoluzione della soteriologia cristiana: se non si dà il male radicale – spiega Monsignor Forte - e dunque il peccato originale e la sua forza devastante, su cui appoggia la sua azione il grande Avversario, la salvezza si risolve in un tranquillo esercizio di vita morale”, senza “tensione agonica” e senza “bisogno di alcun soccorso dall'alto: "salvarsi l'anima" non sarebbe né più né meno che una sorta di autoredenzione”, e non dipenderebbe “dall'adesione della mente a un evento storico esteriore, sia esso pure la morte di croce di Cristo”, né “da una misteriosa grazia che discende dal cielo", e la stessa “risurrezione di Cristo risulterebbe così del tutto superflua”.