Il recente esperimento realizzato dall' LHC del CERN, a Ginevra, ha aperto nuove importanti prospettive, per comprendere le origini del nostro universo, ma è stato accompagnato da alcune polemiche e paure irrazionali, e da alcune confusioni sui contenuti e gli scopi, sia del test realizzato il 10 febbraio scorso, sia degli esperimenti che verranno realizzati nei prossimi anni.
Il Prof. Mangano, chiarisce i dubbi e alcune inesattezze, ed esprime, da laico non credente, le proprie opinioni sul possibile equilibirio e dialogo tra scienza e religione.
Quali sono gli obiettivi dell'LHC, in particolare dell'esperimento che si è svolto mercoledi scorso (il 10 settembre), e quali potrebbero essere le eventuali ricadute nella ricerca scientifica o eventualmente dal punto di vista pratico ?
Quello che è successo il 10 settembre non è direttamente collegato con quello che ci aspettiamo di ottenere dall' LHC (www.cern.ch/lhc). Abbiamo realizzato un test tecnico per verificare che l'acceleratore funzioni come ci si aspetta: per la prima volta i protoni sono stati fatti circolare lungo tutta la lunghezza dell'anello.
Questo è il punto di partenza, ci sono già stati dei test nelle settimane passate, in cui è stata collaudata l'iniezione dei protoni nell'anello, però non era mai stato fatto il test completo. Quindi abbiamo avuto protoni che circolavano solo in una direzione, e non vi sono nemmeno state collisioni, né i risultati di fisica che ci aspettiamo dall' LHC, ma appunto un test di preparazione.La fisica inizierà più tardi, probabilmente verso metà o fine ottobre, e quest'anno sarà limitata a verificare che gli esperimenti funzionino, che sia possibile raccogliere i dati, e non vi sarà un numero di collisioni sufficienti per poter estrarre nuovi risultati. Dall'anno prossimo invece comincerà tutto a regime completo.
Lo scopo dell' LHC è simile allo scopo di acceleratori precedenti, cioè esplorare la materia nelle sue componenti più fondamentali, andare a identificare quali sono le particelle elementari che compongono l'universo, e quali sono le forze, le interazioni che governano le loro relazioni. In particolare, noi abbiamo già ovviamente una teoria completa che descrive tutti i fenomeni che possiamo osservare, dall'elettromagnetismo alle interazioni deboli, dalle forze responsabili della radioattività, alle forze forti che tengono assieme protoni e neutroni all'interno del nucleo. Questo schema teorico, che si chiama “modello standard” fa in aggiunta una predizione molto precisa: l'esistenza di questa particella che si chiama il Bosone di Higgs e che all'interno del modello ha il ruolo di dare massa alle altre particelle. Sappiamo già che l'elettrone, i quarks, i bosoni W, hanno una massa; all'interno della teoria questa massa segue un meccanismo, che si chiama il meccanismo di Higgs, che prevede appunto l'esistenza di questa particella. Questa particella non è mai stata vista perché è pesante ed è molto rara la sua produzione; l' LHC viceversa ha una energia e una intensità sufficientemente elevate (intensità vuol dire il numero di interazioni e il numero di collisioni che si possono raggiungere tra particelle) che finalmente dovrebbe permetterci di scoprire il Bosone di Higgs.
Come mai il Bosone di Higgs è stata definita “la particella di Dio ?”
E' stato forse in parte un equivoco. Leon Lederman aveva scritto un libro sulle particelle, e aveva proposto un titolo considerato non sufficientemente colorito o sensazionalistico, e gli editori gli suggerirono questo nome.La realtà è che una connessione tra questa particella e Dio, non è possibile più che per altre particelle; questa è certamente una particella importante, ma non è la più importante. E' un'espressione nata per caso e che poi è rimasta nella letteratura e in un certo senso continua ad ossessionarci ancora oggi.
Si parla molto sia di presunti rischi di produzione di eventuali buchi neri, o “strangelets” (materia sconosciuta) sia comunque di paure irrazionali in questo senso da parte del pubblico
Qui ci sono due componenti. I media ovviamente hanno cavalcato questa cosa, perché l'hanno visto come uno strumento per interessare i lettori, per generare un evento mediatico. In qualche misura però la responsabilità è forse anche dei fisici teorici che spesso, quando comunicano con il pubblico, con la stampa, utilizzano un linguaggio che tende ad essere sensazionalistico. Devo dire che siamo stati anche guidati da esperti in comunicazione, per migliorare l'immagine che i fisici delle particelle hanno presso il pubblico, e sempre ci suggeriscono di usare questi termini grandiosi, queste analogie, queste metafore molto colorite; metafore appunto tipo “ricreare il Big Bang”, per esempio. Queste idee sono entrate un po' nella cultura, e i fisici non si sono resi conto che dare un messaggio tipo: “con i nostri esperimenti riproduciamo il Big Bang”, oppure “con i nostri esperimenti creiamo nuove forme di materia”, “nuove particelle mai viste prima, sconosciute”, e così via, può effettivamente suscitare paura in chi ascolta. Sentendo le stesse parole, gli stessi termini, usati da un biologo che mi dicesse “io con questo esperimento voglio creare nuove forme di vita”, io stesso mi preoccuperei, perché non so fino a che punto manipolando il DNA non si possa magari generare cose perverse, come una nuova forma di AIDS o di Ebola. Però il linguaggio è lo stesso, e noi in un certo senso ci siamo sempre illusi che il pubblico riesca a vedere la differenza tra il manipolare la vita, manipolare la materia organica (che è un sistema molto complesso, e dunque molto meno facilmente predicibile), e manipolare viceversa le particelle elementari, che è quello che facciamo noi, dove il controllo su quello che risulta da un certo esperimento, è viceversa perfettamente definito e predicibile dalle regole della fisica. Quindi: aver messo assieme una improprietà di linguaggio da parte nostra, la mediazione di qualche persona nel pubblico che ha colto l'occasione per trovare dei pericoli e alimentare queste paure, la stampa che poi le ha riprese. Qui l'errore della stampa, dal mio punto di vista, è stato non sottolineare che questo non è un dibattito tra scienziati, ma è un dibattito che avviene tra scienziati, i quali uniformemente e unanimemente sono convinti che non c'è assolutamente nessun rischio, e alcune persone che non sono scienziati, che non hanno le credenziali per poter discutere con cognizione di questi argomenti, ma che viceversa si sono fregiati del titolo di scienziati, per dare più credibilità alle loro affermazioni. Non è vero in altre parole che ci sia in corso tra scienziati, tra fisici, una discussione sugli eventuali rischi. La comunità scientifica è unanimemente convinta che questi rischi non ci siano, perché questi esperimenti sono stati preparati, studiati in dettaglio utilizzando la scienza e le fisica ben note, per giungere alla conclusione che appunto non vi è nessun rischio.
Le due persone che hanno sollevato il problema, tra l'altro, non avrebbero titoli scientifici, né alcuna esperienza professionale in questi ambiti ...
Nessuno dei due effettivamente ha alcuna esperienza scientifica documentabile: il fatto stesso che non abbiano mai scritto un articolo scientifico che sia stato pubblicato su una rivista scientifica, né individualmente né sottoponendolo a peer review, lo sottolinea.Purtroppo, con il web oggi tutti possiamo “diventare” “scienziati”, o “esperti”, scrivendo qualche riga e mettendola sul nostro sito web, e magari firmandoci come esperto di astrofisica. Sul web non esiste la validazione, la certificazione delle sorgenti che ci può essere sul giornale, dove il giornalista prima di presentare un' informazione si preoccupa di capire quale sia la fonte. E la gente si spaccia per esperti, per scienziati, inventando persino affiliazioni con Università e Istituzioni, e a quel punto la gente viene indotta a credere di avere a che fare con degli esperti.
Come vede l'informazione sull'LHC e il CERN, e il modo in cui CERN e l'LHC stessi comunicano ? Cosa si potrebbe fare per migliorare le informazioni e le idee recepite dalle persone sulla fisica e sui vostri esperimenti ?
La parte scientifica della divulgazione sugli scopi di questi esperimenti è corretta; emerge da conversazioni che giornalisti hanno con noi del CERN (www.cern.ch/), da nostre interviste, e quindi vengono riportate informazioni corrette e utili. In un certo senso siamo tutti ben felici della grande esposizione che stanno avendo le nostre iniziative sui media; dispiace però che vi sia questa idea sensazionalistica e questa paura di presunti rischi. Quello che ci auguriamo è che, passata questa fase di panico, la gente dimentichi questi aspetti, e magari torni a focalizzarsi sulla componente scientifica.
Noi facciamo moltissima divulgazione e cultura della scienza e della fisica: lo facciamo ad esempio attraverso i nostri contatti e attività con le scuole; al CERN abbiamo programmi di stage, che durano da una a tre settimane, per professori di fisica dei licei, che vengono da tutto il mondo, e ai quali raccontiamo le ultime novità della scienza; questo chiaramente ha un grande impatto, perché ogni professore poi ha accesso a tanti studenti, ai suoi colleghi, ai nostri siti web del CERN, che contengono in realtà tutte le informazioni necessarie, per esempio per rispondere a queste accuse sui pericoli. E abbiamo appunto anche una pagina web sulla sicurezza, dove vi sono anche documenti in cui punto per punto viene dimostrata la fallacia di queste accuse.Diciamo che cerchiamo di fare il nostro meglio, però d'altra parte il nostro compito è quello di fare la fisica. Io per esempio, che sono profondamente coinvolto in questa questione, dove è più di un anno ormai che lavoro a tempo pieno, non ho più tempo di fare fisica, passo il tempo a leggere i blogs, a guardare in giro cosa succede, se c'è qualche novità. E oggi non possiamo permetterci di rispondere ad ogni blog e spiegare come stanno le cose. Ci vuole quindi un minimo di sacrificio e impegno anche da parte della gente, per informarsi meglio, e non fermarsi a qualche notizia sensazionalistica, e senza basi concrete. Purtroppo, che una grande rivista o un grande giornale pubblichi un giorno un articolo di due pagine, in cui si spiega come stanno le cose, è utile per quel giorno, ma c'è il rischio che la settimana dopo, se esce un'altra di queste notizie ad effetto, le persone si dimentichino completamente delle argomentazioni scientifiche della settimana precedente, e si ricomincia da zero. La memoria del lettore purtroppo è molto molto breve, per la scienza così come per tanti altri eventi che sono pubblicati sui giornali.
Come vive la sua realtà di scienziato italiano che lavora all'estero da molti anni ? Io sono in Svizzera da quindici anni, è un periodo molto lungo che sono via dall'Italia. E' necessario però considerare la nostra comunità: la comunità dei fisici delle alte energie, dei fisici delle particelle, che è molto diversa dalla comunità per esempio dei biologi, dei ricercatori in campo medico, forse anche in campo economico. Perché siamo veramente una grande comunità: un numero di persone abbastanza piccolo, che lavora su progetti comuni che hanno sede in questi grandi laboratori internazionali, come può essere il CERN, o come può essere FermiLab (www.fnal.gov). Ed è per questo che manteniamo i contatti tra noi; io ho lavorato per molti anni al Fermi Lab (Illinois, USA), dove però vi sono centinaia di italiani che lavorano, e dunque si crea un legame che poi resta; il fatto di essere un italiano che lavora al Fermi Lab, vuol dire poi partecipare alle conferenze organizzate in Italia per gli italiani, perché si è invitati, perché si condivide la lingua, perché partecipano ex colleghi di università. Magari invece il biologo lavora con team più ristretti, e quando va a lavorare in qualche laboratorio americano, poi costruisce li il suo gruppo, e la sua attività, che in alcuni casi può essere addirittura in competizione con le attività di ricerca che si svolgono in Italia. Quindi è importante soprattutto questo: le modalità di lavoro; come opera la nostra comunità, che è molto più internazionale, molto più aperta, con scambi molto più frequenti; il fatto stesso che proprio noi fisici abbiamo per così dire inventato il Web, è perché volevamo uno strumento per rendere ancora più semplice lo scambio di informazioni e la collaborazione, anche a grandi distanze. Quindi in fondo non pensiamo al fatto che siamo lontani; chi ci pensa e chi evidentemente ne soffre, sono semmai le nostre famiglie; loro si, sono sradicate, e devono seguire quelli di noi che sono lontani per fare il loro lavoro. Ma nel nostro lavoro non siamo isolati; è la vita personale, eventualmente, che ci fa sentire lontani. Vi sono poi tanti italiani, spesso associati ad università italiane, e quindi comunque legati e attivi nel paese d'origine, che però passano tra i tre e i cinque mesi all'anno (ad esempio quando non devono insegnare) sul proprio esperimento che sta a Chicago, e anche in questi casi c'è un certo sradicamento. Altra cosa importante da dire è che in Italia, fortunatamente per la nostra comunità, la fisica è veramente all'avanguardia. Noi siamo all'avanguardia, con tutti i nostri colleghi, quindi non è che uno “scappa” e va negli Stati Uniti perché in Italia mancano le risorse; in Italia le risorse sono molto buone, abbiamo i fondi per viaggiare, per partecipare ad iniziative importanti, grandi esperimenti come quelli del CERN; quindi si può fare benissimo fisica a questi livelli, forse non vivendo in Italia, ma certamente associati alle istituzioni italiane. E in Italia abbiamo anche importanti laboratori, come Frascati, dove si realizzano esperimenti che a loro volta attraggono fisici dall'estero: dalla Germania, dal Giappone, dall'America, per dirne alcuni; quindi abbiamo un privilegio, la possibilità di fare tranquillamente ricerca ad altissimo livello, al livello più alto possibile, mantenendo i legami e in parte anche la presenza in patria.
Come potrebbe dal suo punto di vista il lavoro dello scienziato essere reso più comprensibile al grande pubblico ? Senz'altro con uno sforzo migliore, da parte nostra, nel comunicare. Dico migliore, non maggiore, perché in realtà di materiale ne esiste tanto, forse è proprio importante curare la qualità: ci vorrebbe uno studio più attento a come riuscire a trasmettere i messaggi giusti. E' poi cruciale, come dicevo prima, l'impegno di chi ascolta, che deve appunto impegnarsi a voler ascoltare. Noi non possiamo metterci a produrre ad esempio programmi in prima serata, un'ora tutte le sere, in cui si spiega la fisica. Certo sarebbe uno strumento utile, una sorta di lavaggio del cervello, così come fanno telenovelas, programmi di giochi o intrattenimento prima e dopo il telegiornale; invece di proporre pacchi a sorpresa, potremmo proporre fisica. Avrebbe certamente un impatto notevole, però non credo sia possibile. D'altra parte, ci sono già programmi come Superquark e tanti altri, ci sono pubblicazioni specializzate, inserti settimanali nei giornali, quindi l'informazione e la divulgazione secondo me ci sono. Forse in Italia sarebbe importante, dal mio punto di vista, una maggiore partecipazione della politica, dei politici e degli uomini di cultura; e magari tornare ad enfatizzare maggiormente il valore e il ruolo della ricerca fondamentale, laddove viceversa in Italia quando si parla di cultura, tipicamente si parla della cultura letteraria e filosofica, e c'è un atteggiamento generale in Italia in cui la scienza e la ricerca sembrano secondarie rispetto ad altre forme di cultura; in questo si potrebbe migliorare senz'altro.
Come vede un possibile rapporto e un possibile dialogo tra scienza e religione ? Il dialogo è certamente possibile, e positivo, però credo che sia un errore, quando si cerca di forzare la religione nella scienza e viceversa, di andare a identificare necessariamente i punti comuni. Premetto che non sono religioso, non sono nemmeno battezzato, però da quello che capisco la forza della religione è la fede. Allora, nel momento in cui dalla fede cerchiamo di trasferire alla scienza il ruolo di convincere la persona, o di farle sentire un contatto più forte con Dio, con la religione, secondo me stiamo facendo un errore. Quindi, da un lato lo scienziato deve accettare che il non poter dimostrare con un foglio di carta l'esistenza di Dio, non significa che Dio non esista, perché stiamo lavorando su piani completamente diversi. Dall'altra parte il religioso deve capire che come l'Universo funziona è un dato di fatto, che prescinde da come il Dio in cui crede può aver deciso di organizzare l'Universo. Può darsi che le leggi della fisica siano state scelte da un essere superiore, ma noi non ci poniamo questo problema, noi ci poniamo il problema di capire come funziona la fisica, come funziona l'universo. Quindi le due cose possono convivere benissimo, in quanto possono alimentarsi l'un l'altra attraverso lo scambio di idee. Non credo che questo sia possibile in termini pratici, nel senso che la religione possa far migliorare la fisica da un lato, o che la scienza possa rendere la gente più credente dall'altro, però come scambio culturale e filosofico di idee, è assolutamente importante.
Quindi la scienza non può dimostrare né che Dio esista, né che Dio non esista ? Certamente non può dimostrare né l'uno né l'altro. Non può dimostrare che Dio non esiste (come si fa a dimostrarlo ?), e lo stesso non può fare per il contrario. D'altra parte, la dimostrazione che Dio esiste sarebbe automaticamente la dimostrazione che non esiste; perché se lo dimostri vuol dire che è qualcosa che puoi comprendere, identificare e controllare, e quindi in un certo senso ti potresti porre sopra di Lui; e verrebbe meno il ruolo divino al di sopra del tutto; sarebbe un controsenso, come hanno spiegato molto prima di me Sant'Agostino e tanti pensatori che lo hanno preceduto o seguito, e da questo punto di vista a mio parere non è cambiato assolutamente nulla da allora.
Un recente esperimento ENEA di produzione di immagini simil sindoniche con laser ad altissima potenza, sembra portare una nuova luce, scientifica, sulla Sindone ... Questo è stato un esperimento scientifico, per cui se i risultati sono corretti, nulla da eccepire sugli stessi. Potremmo parlare della Sindone, ma potremmo parlare anche dei miracoli in generale, e della dimostrazione scientifica del miracolo; certamente qui si entra però in un terreno in cui è molto difficile trarre delle conclusioni. Lo scienziato è aperto al fatto che ci possano essere dei fenomeni che ancora non capisce: questo è il motivo per cui costruiamo l' LHC, per scoprire cose che sono al di la di quelle che osserviamo. Sappiamo che nell'universo la materia che conosciamo, i protoni, gli elettroni, etc. sono solamente il 3% di quello che vediamo; c'è un altro 25% di componente massiccia dell'universo, che non sappiamo cosa sia, però non è che si possa dire che questa sia la prova dell'esistenza di Dio. Questo vuol dire che dobbiamo andare avanti e trovare un'altra legge che lo spieghi. Quindi anche fenomeni associati a miracoli, potrebbero a loro volta far parte di questa classe di processi. Ben venga quindi la ricerca su queste cose, però alla fine la valutazione deve essere una valutazione basata sulla fede, dal punto di vista del credente. Non posso escludere per altro che possa arrivare un giorno un esperimento, o un fenomeno scientifico che sia assolutamente al di la della logica e della comprensibilità. Per fare un esempio semplice, se domani la luna, invece che continuare a girare da destra verso sinistra, si fermasse e tornasse a girare nella direzione opposta, si avrebbe un evento che non sarebbe in alcun modo compatibile con la fisica che conosciamo adesso, o che conosceremo in futuro. E si potrebbe evidentemente dire che c'è “qualcuno” che ha il potere di cambiare addirittura le regole con cui funziona il mondo; stiamo parlando ovviamente di scenari che sono abbastanza implausibili, ma di fronte a una eventuale dimostrazione che le regole con cui funziona il mondo possono essere cambiate da questo “qualcuno” a piacimento, ovviamente tante persone potrebbero iniziare a pensare diversamente il proprio atteggiamento verso la religione.
I cambiamenti climatici sono stati il tema della Mostra Atmosphera, organizzata da Euresis al Meeting di rimini 2008. NEWPubblichiamo una intervista SRM al prof. Mario Gargantini (Euresis), tra gli organizzatori della mostra.
Di Paolo Centofanti, SRM
Euresis collabora da numerosi anni con il Meeting di Rimini. Quali sono le attività principali ?
L'attività di Euresis per il Meeting di Rimini da diversi anni si concentra sulla preparazione di mostre didattico scientifiche e sulla organizzazione di convegni e tavole rotonde. In particolare poi le mostre stesse, una volta esposte in fiera, diventano nei mesi successivi mostre itineranti, che hanno una circolazione più ampia in tutta Italia, presso scuole, centri culturali, etc. . Le mostre hanno la caratteristica specifica di essere rigorosamente scientifiche, ma sufficientemente divulgative, quindi rivolte a un vasto pubblico, fatto di giovani e non solo, presentando una visione di quelle che sono le conoscenze scientifiche attuali, collocate nel contesto che le ha generate, e in riferimento agli uomini che le hanno scoperte, e agli uomini che le utilizzano. E quindi in riferimento a tutta una dimensione più ampia di conoscenza, di interrogativi, di esperienza umana che può aiutare a comprendere meglio e a collocare meglio le conoscenze scientifiche stesse.
Quest'anno in particolare avete organizzato Atmosphera ...
Quest'anno abbiamo voluto sviluppare il tema dei cambiamenti climatici, tema molto dibattuto, di grande attualità, che però spesse volte viene trattato in modo riduttivo, ideologico, dove alcuni dati approssimati o non ancora validati scientificamente vengono dati per definitivi e per certi, e da questi vengono tratte conclusioni e previsioni, a volte anche catastrofiche. Il nostro intento è stato cercare di fornire le informazioni scientificamente più corrette, preoccupandoci di distinguere e mettere in evidenza fino a dove vi fossero sufficienti prove e conferme dei dati, e dove invece si rimanesse a livello di ipotesi. Abbiamo quindi cercato anche di far capire cosa sta dietro i dati, cioè la complessità di un fenomeno come quello della situazione climatica della terra, e quindi la difficoltà di attuare campagne di misura significative, e di studiare lo stesso clima della terra, proiettato nella storia. Si vede per esempio che i cambiamenti climatici che sono in atto in questo momento, il riscaldamento globale di cui tanto si parla, non è un fenomeno così eccezionale di questi anni: nella storia del pianeta si è ripetuto più volte, anche in momenti in cui l'intervento umano non c'era e la causa sicuramente non poteva essere quella antropica. Le mostre in genere sono costituite da una serie di pannelli con illustrazioni e spiegazioni, e anche con una parte di oggetti e di esperimenti interattivi. Quest'anno per esempio ha fatto molto colpo sui visitatori, ed era anche significativo di ciò che si voleva comunicare, la presentazione di alcune di quelle che si chiamano le “carote”, ovvero i frutti dei carotaggi, della perforazione cioè, sia dei fondali oceanici sia (quella che ha più colpito) dei ghiacci dell'Antartide. Le abbiamo messe in evidenza in teche speciali, raffreddate e tenute costantemente ad una temperatura tale che il ghiaccio non si sciogliesse. Queste carote sono praticamente gli archivi cosmici, le biblioteche cosmiche della storia del pianeta, e quindi anche della storia del clima.
Si parla spesso del problema, dovuto allo scioglimento dei ghiacciai, della possibile scomparsa di animali, come gli orsi polari ...
Questo è uno degli esempi tipici di una informazione a volte scorretta; nel senso che certamente c'è un riscaldamento globale, è un fenomeno che esiste, si può misurare, anche se le misure a volte non sono proprio quelle così drammatiche che vengono indicate. Quindi il riscaldamento c'è, è un fenomeno che può avere la sua ciclicità (e quindi non sappiamo esattamente fino a quando durerà), e può avere quegli effetti per esempio di riduzione dei ghiacciai che si constatano oggi. C'è da dire però che la diminuzione degli orsi polari, intanto non riguarda tutte le specie di orsi polari, ma soltanto alcune specie che, guarda caso, non vivono nelle zone dove il clima si sta particolarmente riscaldando, e dove si sciolgono i ghiacciai; è anzi addirittura stimato che muoiano più orsi polari per gli effetti della caccia, dei cacciatori, che per gli effetti del cambiamento climatico. Per dire che sono problemi che esistono, che non vogliamo negare o ridurre, ma vanno ridimensionati, vanno collocati nella giusta posizione, e va tenuto conto di tutti i fattori che intervengono in un fenomeno.
Relativamente al modo in cui si fa informazione ambientale e più in generale informazione scientifica, e al modo in cui i giovani recepiscono la scienza, e il suo rapporto con la religione, quali le sembrano eventuali buone e cattive prassi di informazione, e quali potrebbero essere eventuali correttivi ?
Sulla necessità di una informazione corretta sono tutti d'accordo, su questo non credo ci sia da discutere. Credo, anche dall'esperienza che ho fatto personalmente e insieme al gruppo di Euresis, in varie attività di comunicazione, a diversi livelli, in diversi contesti, e con diversi pubblici, che il punto da cui partire sia proprio la visione e l'immagine della scienza. La scienza è un' esperienza umana, il soggetto umano è il protagonista, quello da mettere in primo piano. La scienza è un'avventura di conoscenza, è un avvenimento, è un imbattersi nella realtà, con i suoi misteri, con le sue stranezze, con i suoi comportamenti. Allora, comunicare la scienza vuol dire (come tentativo evidentemente), tentare di far percepire al pubblico questo aspetto, questo livello.Ma in questo modo il pubblico può più facilmente reagire, perché trova qualcosa di più in sintonia con quella che è anche la propria esperienza. Quindi la buona prassi è quella di riferirsi al livello dell'esperienza umana del ricercatore. E questo è anche quello che permette di collocare nel giusto modo il problema scienza e fede. Perché qui non si tratta di avere due mondi, due aree di contenuti da mettere d'accordo a tutti i costi, trovando appunto dei legami, dei link tra i due aspetti, ma si tratta di capire che c'è un'unica esperienza della ragione umana che si spalanca sulla realtà senza porre limiti, senza porre censure: raccogliendo anche le domande di senso e di significato che inevitabilmente emergono anche dall'esperienza scientifica. I giovani, se portati a incontrare la scienza in questo modo, a incontrare anche le problematiche di scienza e fede, le problematiche etiche, le altre varie problematiche che la scienza pone, sono più interessati, rispondono meglio. Lo vediamo nelle mostre del Meeting: sono visitatissime, c'è interesse, ci sono domande, c'è volontà di approfondire. Perché si cerca di toccare questo livello del problema, che non è un livello specialistico, che riguarda cioè specialisti che poi si devono sforzare di tradurre per il pubblico, di divulgare appunto, come si dice, le conoscenze; invece si tratta di trovare un livello che praticamente è comune a tutti, e dove ciascuno fa la sua parte: lo scienziato fa la sua parte, di chi cioè è riuscito a fare qualche passo in più nel cammino di conoscenza.
Nella sua esperienza di insegnante, come vede il modo in cui i giovani recepiscono la scienza, e come valuti il modo in cui la scienza viene insegnata, considerando anche le modalità esperienziali e quasi ludiche che oggi si diffondono per insegnare ad esempio le scienze naturali, la matematica ?
La cosa interessante è che questi non sono trucchetti o accorgimenti per accalappiare l'interesse dei giovani, e anzi se sono fatti soltanto così lasciano il tempo che trovano; sono invece parte integrante della natura stessa del sapere scientifico.La conoscenza scientifica è una conoscenza sperimentale, le scienze naturali (ma lo stesso si potrebbe dire per la matematica), sono scienze sperimentali, quindi non si possono insegnare senza esperimenti, per definizione. Non ha senso parlare di fisica, di biologia, di chimica, senza un riferimento concreto e continuo a livello sperimentale. Questo è un punto importante. Non è un extra, per andare in laboratorio ogni tanto, per vedere degli aspetti magari appariscenti o che colpiscono, ma tutti i giorni la scienza deve avere all'interno questa dimensione sperimentale; così come deve avere la dimensione storica, che è un altro dei grandi assenti nell'insegnamento scientifico: perché i ragazzi hanno l'impressione che i risultati scientifici che devono imparare siano calati non si sa dove, non si sa quando, non siano invece il frutto di un lavoro, di una storia, di una fatica, di una serie di errori, di tentativi che fanno gli scienziati; scienziati che nella realtà il più delle volte sbagliano e ogni tanto azzeccano: la vita dello scienziato è una serie di tentativi di trovare una risposta alle sue domande; più delle volte la risposta non si trova, ogni tanto la si trova. Invece l'immagine che ha lo studente è il contrario. Ecco allora: la dimensione sperimentale da un lato (che mette direttamente il ragazzo a contatto con il fenomeno e con la possibilità di indagare), la dimensione storica dall'altro, sono due componenti fondamentali che sono purtroppo ancora disattese nelle nostre scuole.
Quali sono gli effetti e quali le potenzialità dell'uso della rete e delle nuove tecnologie della comunicazione per apprendere la scienza ?
Più che altro vi sono grosse potenzialità, perché proprio per la natura stessa degli strumenti, amplificano le opportunità di visualizzazione, di simulazione, di esemplificazione. E tutto questo aiuta, ma sono sicuramente da vedersi unicamente come aiuti, non come alternative. Cioè sono aiuti che possono potenziare, rendere più efficace e magari anche più attraente un lavoro che dovrebbe essere già impostato in un certo modo. L'insegnante non può quindi illudersi che l'aggancio con la rete, la simulazione al computer, strumenti di questo genere, possano sostituire un insegnamento fiacco, poco motivato, poco interessante, poco legato all'esperienza della persona. Se c'è un atteggiamento positivo, se l'insegnante è motivato e sa interessare, invece, allora tutti questi strumenti diventano una ricchezza in più, ben vengano.
Le capita di riscontrare il rischio e la difficoltà di una cosiddetta “generazione google” o “wikipedia” di studenti ?
Questo è un pericolo generale diffuso nella nostra società, che è una società minimalista, dove tutto viene portato al minimo indispensabile, e quindi dove il desiderio di approfondimento, che in realtà è insito anche negli stessi giovani, che sono molto curiosi, viene tarpato e viene ridotto a pillole, a conoscenza tutta veloce, sintetizzata, colta con rapidità; nel modo tipico con cui ci si accosta allo strumento rete, a Google, a tutte queste fonti di informazione pratiche, senza però nessuna capacità di sostare per far decantare una informazione. Ancora una volta, non c'è la volontà di opporsi a questi strumenti: Google è uno strumento potentissimo, e i motori di ricerca sono fondamentali, ma sono strumenti da usare come tali; purtroppo spesse volte diventano strumenti che sostituiscono totalmente la conoscenza, che invece è fatta di altre cose, oltre che di informazione; che soprattutto è fatta di tempo è di rapporto; è fatta di approfondimento e di difficoltà; è fatta di approfondimento personale e di dialogo per esempio con i compagni di studio, con i docenti. Come dicevo prima, se la scienza è presentata come un'esperienza umana completa, ecco allora dentro ci sono tutte le dimensioni, compresa la dimensione dell'apertura al trascendente, la dimensione delle domande, degli interrogativi di senso che la ricerca stessa fa emergere; sia in generale, sia nello specifico di alcuni temi che va a toccare, che poco o tanto portano alle domande che sono tipiche della dimensione religiosa. E allora lo scienziato è portato dalla sua stessa scienza, senza dover fare particolari collegamenti filosofici o teologici, a porsi qualche domanda. Ecco, basterebbe questo livello per definire in modo diverso scienza e fede.
Può parlarci dell'esperienza di Euresis ?
Euresis è un'associazione, nata alcuni anni fa, che raduna ricercatori, insegnanti, gente che ha una professione dove il contenuto principale è di tipo scientifico. E' nata dalla volontà di andare a fondo nel proprio lavoro, quindi di capire, di cercare insieme il senso della propria attività in campo scientifico, e di rispondere ad una serie di domande che questa pone. Per spiegare come ci muoviamo mi viene bene una frase di uno degli ospiti del Meeting di quest'anno, il fisico delle particelle di origine italiana Gino Segre, che lavora in America, e che nel suo intervento nella tavola rotonda, ha parlato di una bellezza della scienza, che però, ha aggiunto, spesso gli stessi scienziati cercano di nascondere. Analogamente potremmo anche dire, si può parlare di un senso e di un significato della scienza che, ancora una volta, spesso gli stessi scienziati cercano di nascondere. Bene, Euresis vuole non nascondere queste dimensioni; se vogliamo sintetizzare in una battuta, l'obiettivo di Euresis è di non nascondere la bellezza della scienza, il significato della scienza. Ma questo lo vogliamo fare non mettendo in secondo piano la scienza, mettendoci a fare della estetica o della filosofia, ma dall'interno della scienza, quindi andando a fondo nello specifico, anche fino al dettaglio del proprio lavoro scientifico, per far emergere appunto quelle altre dimensioni. Questa è diciamo l'idea base, poi tutto questo viene vissuto insieme, cercando il più possibile di condividere esperienze, problemi, difficoltà, scoperte; creando appunto una comunità di interessi, una comunità un po' simile, per certi aspetti, alle accademie, nate all'inizio della scienza moderna. Comunità di ricercatori, di uomini, che si trovano a fare una esperienza così interessante, così anche problematica, e che si aiutano a viverla. Da qui poi è quasi naturale che nascano idee, iniziative; e poi bisogna tirarne le conseguenze. In particolare sono tre i tipi di attività che sono derivate da questa volontà di approfondimento della propria professione. Sono l'attività delle mostre che abbiamo già citato, mostre che vengono presentate al Meeting e fatte girare per l'Italia, e si va a presentarle, si interloquisce col pubblico, si interagisce con gli insegnanti, con coloro che le allestiscono. La mostra del Meeting è un esempio, ma anche quella che stiamo organizzando sul rapporto tra Dante e la scienza, che poi girerà nelle scuole italiane, e che non è legata soltanto all'evento Meeting; quindi la linea delle mostre si è negli anni ampliata. Un secondo tipo di attività è quella della pubblicazione della rivista Emmeciquadro, nata da un gruppo di insegnanti, sempre più allargatasi, e che da dieci anni ormai pubblicano una rivista rivolta all'educazione scientifica delle scuole di tutti i livelli, per tutti i tipi di materie scientifiche. Il terzo livello è quello più recente, della comunicazione online, attraverso sia il sito di Euresis (www.euresis.org), che abbiamo rilanciato l'anno scorso e ristrutturato in modo più professionale, secondo gli standard della comunicazione attuale, e, ultimissima, la collaborazione che abbiamo iniziato con le pagine scientifiche del quotidiano online Il Sussidiario (www.ilsussidiario.net) e per il quale collaboriamo con una cura particolare alle pagine scientifiche e tecnologiche.
Qual'è la linea editoriale del Sussidiario ?
E' un quotidiano generalista che si occupa anche di scienza e cultura, attraverso uno dei suoi canali, per usare un termine tecnico.La linea è anche quella indicata nella testata: “il quotidiano approfondito” è il sottotitolo; è un quotidiano online creato dalla Fondazione per la sussidiarietà, che ha l'intento di approfondire e comprendere quello che succede, in generale. Tentando di unire questi due aspetti: i fatti e gli approfondimenti. È anche visibilmente, strutturato in due blocchi, due sezioni: “fatti” e “approfondimenti”, però legati fra di loro, quindi tenendo conto che l'approfondimento diventa volo pindarico e intellettualismo se non è strettamente legato ai fatti, e i fatti da soli, se non hanno poi un approfondimento, nella conoscenza oggi molto spinta e affannata dell'informazione, non aiutano la persona, insomma non servono alla crescita delle persone. E allora questa è un po' la scommessa: un'apertura ampia, uno sguardo ampio sugli avvenimenti quotidiani, con l'intento di andare a fondo nella ricerca della verità, e l'avvio di un lavoro culturale che può nascere attraverso gli approfondimenti; affidando questi aspetti a tanti collaboratori, che stanno già collaborando da qualche tempo, soprattutto nella parte di approfondimenti, in una prospettiva non di contrapposizione ideologica, per difendere una particolare tesi, o una particolare posizione ideologica o culturale, ma con la volontà di ricerca sincera della verità, sulla quale ci si può trovare d'accordo anche da posizioni culturali e magari politiche diverse.
SRM ha pubblicato (link) alcune immagini dell'esperimento effettuato dall'ENEA con Laser ad altissima frequenza (cortesia del Dr. Giuseppe Baldacchini – ENEA, ed Applied Optics), cfr.Newsletter nº 75, e ha ripreso (link) l'intervista concessa a Zenit il 18 luglio scorso dal Dr. Baldacchini, il quale spiega come l'esperimento fosse inizialmente traguardato ad altri obiettivi, e sia stato centrato sulle immagini della Sindone quasi per caso.
L'esperimento, utilizzando il Laser Hercules (realizzato a Frascati, uno dei laser più potenti in Europa) con impulso di 120 ns, e il Laser LPX-305 della Lambda Physik (una industria specializzata tedesca), con impulso di 32 ns, ha portato a realizzare immagini con caratteristiche strutturali (“bruciatura” delle fibrille superficiali del tessuto) fortemente simili a quelle dell'immagine dell'Uomo della Sindone.Utilizzando altissime frequenze, e con specifiche caratteristiche di potenza e durata di emissione, il team del Dr. Baldacchini ha ottenuto immagini che con altre condizioni e differenti metodiche non sarebbero replicabili.L'esperimento è stato pubblicato da Applied Optics (Vol. 47, Issue 9, pp. 1278-1285), e sarà presentato ufficialmente alla comunità scientifica negli Stati Uniti, nel mese di agosto.