giovedì, luglio 31, 2008

L'ostensione della Sindone nel 2010, "opportunità provvidenziale"

Intervista a padre Gianfranco Berbenni

di Paolo Centofanti

ROMA, giovedì, 31 luglio 2008 (ZENIT.org).- L'ostensione della Sindone di Torino, annunciata da Benedetto XVI per il 2010, è una "opportunità provvidenziale" per capire il suo significato spirituale, considera il sindonologo padre Gianfranco Berbenni.

Docente titolare del corso "La scienza e la teologia di fronte alla Sindone" per il Master in Scienza e Fede dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, il sacerdote promuove in questa intervista una ricerca scientifica che eviti la spettacolarizzazione.

Nella conversazione analizza anche il recente esperimento dell'ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l'Energia e l'Ambiente), guidato dal dr. Giuseppe Baldacchini, che ha portato alla realizzazione di immagini (link SRM) strutturalmente comparabili (coloratura delle fibrille superficiali del telo, etc.) con l'immagine dell'Uomo della Sindone.

Cosa ne pensa dell'annuncio dell'ostensione pubblica della Sindone ?
Padre Berbenni: E' una opportunità provvidenziale per poter procedere in una pastorale che abbia nella Passione e Risurrezione del Signore Gesù il proprio centro, ed è una opportunità provvidenziale perché la Sindone sia un testimone privilegiato, accanto e a servizio dei Vangeli e dei Sacramenti, e possibilmente dia occasione per impegni sociopolitici, specialmente nel mondo delle emergenze e della carità, molto più intensi.

In questi ultimi mesi sembra vi sia un nuovo interesse per la Sindone. Cosa vede di positivo e cosa eventualmente di potenzialmente negativo, come ad esempio eventuali forme di spettacolarizzazione ?
Padre Berbenni: Di positivo vedo un aspetto, che per la scienza è normale, cioè quello di non abbandonare mai l'analisi di un oggetto. In questo caso la Sindone per la scienza è un reperto archeologico, un tessuto con delle impronte sanguigne di una persona uccisa in determinate condizioni.
Che la scienza continui è normale e benvenuta prassi, direi.Forse sussiste una ricerca di spettacolarità scientifica, e questo è un elemento di debolezza dell'attuale ricerca.
Occorrerebbe, credo, rimettere le carte in gioco, riportando 'la partita' a uno svolgimento normale, semplice, senza angustie di ritrovamenti spettacolari. Più che la mediaticità è proprio la spettacolarità del procedere scientifico che è in gioco qui.
Anzi c'è un pericolo, almeno per noi sacerdoti: se anche accadesse che si dovesse raggiungere il livello di affidabilità circa una radiazione che permette una diffusione superficiale dell'impronta corporea sindonica, il pericolo grande è che gli stessi scienziati inizierebbero a 'fare teologia' dicendo "abbiamo scoperto l'energia che ha provocato la Risurrezione".
Cosa che per i teologi è non solo molto discutibile, ma assolutamente in controtendenza con la strategia che i Vangeli hanno scelto quale causa determinante la fede nella Risurrezione, e cioè la testimonianza delle Scritture e degli apostoli.
Il vero pericolo che sta dietro questo eccesso è nell'andare a cercare la causa dell'impronta superficiale sulla Sindone, è lo sconfinamento della scienza di laboratorio nella scienza teologica.
Bisognerebbe ripartire dal 1984, quando l'equipe americana dello STURP fece il punto sulle ricerche iniziate nel 1978 e presentò uno spettacolare "Programma formale di ricerca scientifica sulla Sindone di Torino", rimasto purtroppo quasi del tutto assente nei dibattiti sindonici. Bisognerebbe ripartire da lì, per discutere il dato della cosiddetta superficialità dell'immagine corporea sindonica, e sarebbe ancor più importante e auspicabile che il mondo medico si impegnasse di nuovo e ad alto livello nell'analisi della Sindone, specialmente con alcuni team di esperti di patologia legale.
Il settore scientifico medico è molto minoritario nella quantità di ricerche sulla Sindone. Credo dovrebbe rimettersi in campo con molta forza.

Cosa ne pensa di questa sperimentazione realizzata dall'ENEA ?
Padre Berbenni: E' una sperimentazione scientifica interessante dal punto di vista dei risultati. Dal punto di vista sindonologico credo andrebbe collocata in un contesto più ampio di discussione.

Pensa che possa fornire in qualche modo elementi per una possibile spiegazione su come si sia formata l'immagine ?
Padre Berbenni: Penso che procedano nella verifica dell'ipotesi della superficialità dell'immagine corporea quanti hanno difficoltà nel considerare la formazione dell'impronta corporea come semplice fenomeno naturale, di natura fisico-chimica.
E credo che procederanno sulla via della ricerca di una energia che sia documentabile, come nel caso di questa radiazione ultravioletta.
Tuttavia penso che sia necessario tenere molto ben presente anche l'ipotesi della formazione naturale, secondo cui non sarebbero impronte superficiali, anche perché gli stessi scienziati dello Shroud of Turin Research Project (STURP) avevano in progetto di verificare questo che a loro sembrava, dai primi elementi, postulati e raccolti, un dato incontrovertibile.
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Link SRM - Zenit

sabato, luglio 26, 2008

Poblet: ipotesi per un nuovo concetto di specie

Intervista al Prof. Gennaro Auletta, Direttore Scientifico STOQ e Direttore Scientifico della Specializzazione in Scienze della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana.

Prof. Auletta, può farci un bilancio di questa edizione della Scuola Estiva di Poblet ?
Penso sia stata un'esperienza molto positiva, un momento di confronto tra scienziati e filosofi, e con un’ampia presenza di studenti: abbiamo raddoppiato il numero dei partecipanti rispetto allo scorso anno, quest'anno eravamo una trentina di persone.Abbiamo scelto un tema particolarmente difficile, quello delle specie. E' stato un confronto direi anche arduo in alcuni giorni, ma senz'altro molto positivo. Si deve considerare che le scienze biologiche sono il campo scientifico con cui è più difficile un confronto, perché presentano una grandissima eterogeneità di metodi, di procedure, di settori di indagine, e in più oggigiorno sono scienze di cui si abusa molto in senso ideologico.Però nel complesso, come ho detto, ritengo che il risultato sia estremamente positivo, e che ci siano molte lezioni da trarre da questa esperienza; penso che vi siano insegnamenti di carattere generale, molto preziosi soprattutto per il nostro congresso sull'evoluzione (nel 2009), che ci fanno capire un po’ meglio come dovremo impostare nel futuro il dialogo su tali argomenti. Ma penso soprattutto che il frutto conclusivo sia stato molto importante, perché la definizione di specie, su cui torneremo tra poco, rappresenta un risultato nuovo e significativo.

Quali sono le particolari caratteristiche della Scuola estiva ?
L'aspetto interessante della scuola come tale, rispetto ad altre attività che noi svolgiamo nel quadro del Progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Quest), è certamente la possibilità di avere, per una settimana, un percorso comune di carattere scientifico, compreso un vero e proprio brainstorming, che non si svolge soltanto durante le sessioni ma anche nei momenti di convivialità, dove si continua a discutere appassionatamente.In più, in secondo luogo, vi è una dimensione sociale, di interazione personale tra i partecipanti, come anche una dimensione spirituale e religiosa, perché per la maggior parte di noi è molto importante avere la possibilità di partecipare alle celebrazioni e alle funzioni religiose, ovvero all'attività religiosa del Monastero.E infine c'è anche una dimensione sportiva e naturale, perché organizziamo passeggiate in montagna, a volte anche impegnative.Vi sono quindi diversi aspetti che coinvolgono il partecipante, e direi che è l'attività forse più tipicamente di college che svolgiamo con il Progetto STOQ al momento attuale.Anche questo penso sia importante, e si tratta di un qualcosa che in realtà esprime una potenzialità di carattere più generale. Credo, infatti, che con il Progetto STOQ abbiamo un unicum di cui non siamo forse ancora abbastanza consapevoli. Le sei Università Pontificie, forse sette, coinvolte nel Progetto STOQ, rappresentano un ateneo distribuito sull'intera città di Roma, che oltretutto è una delle città più belle del mondo; non credo che ci siano molte università, anche prestigiose, che possano competere con una potenziale articolazione del genere.In più, se si considera che le nostre istituzioni sono collegate, bene o male, tramite i nostri studenti, ma non solo, con decine di seminari, etc., noi rappresentiamo potenzialmente una forza, un bacino, di utenti e fruitori che semplicemente non ha paragoni con altre istituzioniUna realtà importante, quindi, che noi però sfruttiamo ancora poco.Diciamo che la Scuola è un modo per raccogliere, almeno una volta l'anno, gli studenti delle varie pontificie, farli interagire con i nostri docenti, creare una situazione tale per cui da tutti i diversi punti di vista di cui parlavo poc'anzi, si possa crescere insieme. Questo è il punto essenziale.

Perché, come titolo della Scuola estiva di quest'anno, avete scelto “definire l'indefinibile” ?
Questa è una famosa frase di Darwin, che in una lettera a Joseph Dalton Hooker (24 dicembre 1856), scriveva appunto che per un naturalista la definizione delle specie equivale al «tentativo di definire l'indefinibile» . Darwin infatti non definisce mai il concetto di specie. Nonostante il suo libro si chiami “l'Origine delle specie”, all'interno di questo volume non viene presentata alcuna definizione di specie. E lui stesso usa l'espressione “definire l'indefinibile” perché si rende conto dell'enorme difficoltà del problema, con cui noi ci siamo confrontati in questi giorni.Perché da un punto di vista diciamo tradizionale, se vogliamo più aristotelico, (che poi è anche il punto di vista che forse più ci interessa), tuttavia sostanzialmente statico, dato che Aristotele non aveva alcuna idea della teoria evolutiva, in fondo definire una specie sembra essere una operazione semplice, diciamo astrattamente parlando.
Ma quando si introduce un principio evolutivo, in cui dalle specie poi si distaccano diversi rami evolutivi, ossia si hanno processi di speciazione e la specie presenta una propria variabilità intrinseca, andare a definire che cosa sia specie diventa molto più difficoltoso; perché qual è il confine della specie ? Ovvero, quando si creano gruppi all'interno della specie (e se ne creano di continuo), quando questi cessano di essere la specie originaria e diventano una specie nuova ?
E' un confine molto difficile da stabilire, ed è un problema davvero enorme.La continua variabilità, in termini sia di mutazioni casuali da un punto di vista genetico, sia in termini di pressione ambientale, crea una difficoltà che è semplicemente ignota in altri campi. E' un problema veramente di grande complessità. Tenga presente che è relativamente semplice distinguere tra clades e clades (tra generi diversi) nella scala discendente, cioè quando si parte dai concetti più generali, tipo animale per esempio, e via via si scende, con livelli decrescenti di generalità, fino ad arrivare alla distinzione in mammiferi, etc.; anche se, va detto, non esistono criteri uniformi generali in base ai quali viene fatta questa classificazione. Sono soprattutto criteri ad hoc, e possono essere quindi criteri genetici, morfologici, etc..In ogni caso, fin qui si può procedere con una relativa facilità. Ma quando si arriva al concetto di specie, che sarebbe per così dire il genere più piccolo che raccoglie direttamente gli individui, e non c'è niente sotto di esso, si hanno difficoltà enormi. Perché non è più sufficiente vedere la differenza, ma sarebbe necessario avere delle specificazioni positive che individuino quella determinata specie particolare. E questa è una cosa enormemente difficile. Ed è questo il punto che ci ha spinto a fare la scuola.

Prima dell'intervista, lei e Padre Rafael Pascual LC affermavate che siete arrivati ad una nuova definizione del concetto di specie
Si; grazie al contributo di molti, si è potuto sostanzialmente esaminare durante le giornate della Scuola, ben 26 definizioni di specie (e non sono nemmeno tutte; sono solamente le definizioni più note, definizioni date da autorevoli evoluzionisti, persone come Mayr e tanti altri). Definizioni però che spesso hanno il difetto di essere sostanzialmente focalizzate sulle specie sessuate.Infatti, quando le specie sono sessuate è più facile definirle, dato che si può affermare che la specie rappresenti quel gruppo di animali, piante, comunque di organismi, che ha effettivamente incroci riproduttivi fertili.Però il vero problema è che queste definizioni colgono una parte abbastanza piccola di tutti gli organismi viventi, perché per quanto strano possa sembrare, gli organismi sessuati sono una minoranza.Quindi tale definizione lascia fuori del tutto ad esempio i batteri, che rappresentano una parte cospicua dell'ecosistema del nostro pianeta, e che hanno un sistema riproduttivo completamente diverso. Non hanno sessualità, è un modo riproduttivo orizzontale. Addirittura poi vi sono casi di organismi anche più complessi per esempio, di animali, in cui alcuni tipi sono sessuati, altri no, altri addirittura durante il corso della vita passano da un ciclo sessuale a uno asessuato e viceversa. Quindi andare a trovare una definizione di specie soltanto per i sessuati, rappresenta un problema, in qualche modo, perché è una grossa limitazione.
Cosa abbiamo quindi tentato di fare ?
Abbiamo tentato di individuare una definizione sufficientemente ampia; certamente è un primo passo, che però in questo modo arriva a coprire tutti gli organismi.Noi definiamo quindi la specie come un insieme di popolazioni con derivazione comune; qualitativamente discreto, perché secondo noi è molto importante che la specie sia individuata con una differenza qualitativa ben precisa (quindi con caratteri ereditari, che a loro volta sono soggetti a mutabilità): sia genetica, sia dovuta a condizionamento ambientale; fin qui la parte generale.Questo concetto poi viene a coincidere con quello tradizionale, biologico, di specie, laddove vi sia un sistema riproduttivo basato sulla sessualità biparentale.Adesso non voglio affermare che abbiamo fatto una scoperta rivoluzionaria, però è certamente un passo avanti, e rappresenta secondo me un risultato concreto. Fino a che punto innovativo lo sapremo nei prossimi anni. Quello che certamente posso auspicare fin da ora è che tra 4-5 anni ci si incontri nuovamente come scuola estiva sullo stesso tema, partendo da questa definizione, e vedendo come possiamo progredire. Questo è l'auspicio che posso formulare in questo momento.

Quindi su questo tema avete già programmato di confrontarvi con altre realtà, con altri studiosi ?
E' certamente uno dei nostri obiettivi, anche se per adesso non abbiamo ancora pensato ai modi in cui farlo, sia perché ormai siamo nel periodo estivo, sia perché siamo impegnati, come Università Gregoriana, nell'organizzazione del Convegno sull'Evoluzione per il 2009Però è certamente un argomento su cui vogliamo confrontarci, e anche per questo motivo quest'anno (lo scorso anno non ci siamo riusciti) dovremmo pubblicare gli atti, che dovrebbero essere già significativi per il mondo scientifico.Su ogni argomento, come Università Pontificie, come istituzioni della Chiesa in senso più ampio, siamo sempre profondamente interessati a confrontarci con opinioni differenti.Purtroppo molti si pongono non come interlocutori, ma come “avversari”, e ci accusano anche di voler strumentalizzare questi temi; in realtà penso che proprio questa scuola sia la prova che non vogliamo strumentalizzare nulla o nessuno; vogliamo semplicemente prima di tutto capirne di più noi, e per quanto sia possibile addirittura aggiornare i nostri programmi di ricerca filosofica e teologica, tenendo conto di queste problematiche; fare quindi dei passi avanti.

Quindi la Scuola è aperta anche a persone non credenti o comunque con differenti convinzioni religiose
La scuola non ha preclusioni rispetto a convinzioni filosofiche o religiose, tant'è che alcuni dei docenti invitati non si possono considerare del tutto cattolici, alcuni forse nemmeno dei credenti.Certo la scuola non è aperta indistintamente a tutti; lo è per docenti su invito, per i nostri studenti di dottorato delle varie università pontificie, più naturalmente alcuni eventuali licenziandi che possono avere, per una ragione o per un'altra, un interesse particolare a partecipare a queste attività, e infine per alcuni studenti provenienti da altre università: quest'anno abbiamo avuto ad esempio la partecipazione di una ragazza dell'Università di Pisa.Però certamente il pubblico cui questa scuola si dirige è costituito principalmente dai nostri studenti di dottorato, dalle varie università pontificie. Quindi non vi sono preclusioni, per quanto naturalmente la Scuola sia per principio qualcosa di chiuso, cioè non con una apertura indiscriminata.Aggiungerei anche che alla Scuola vi era un gruppo anche nutrito di docenti laici che non seguono necessariamente, anzi alcuni per nulla, le teorie evolutive della Chiesa.Noi siamo peraltro interessati anche a capire cosa queste persone hanno da dire, e sarebbe anzi un peccato non avvalerci delle loro competenze.Quindi non vedo su questo aspetto dei problemi. Ciascuno valuta le cose in completa autonomia, e come in ogni dialogo non vi è obbligo di sodalizio fino alla fine.
Quindi senza nessuna preclusione, però ovviamente questo non significa che condividiamo tutto.
Il tentativo che stiamo facendo tramite questa scuola, è analogo a tutte le attività STOQ: dal Convegno organizzato a novembre 2007 dall'Ateneo Regina Apostolorum, a quello che organizzeremo a marzo del prossimo anno, sono tentativi molto lodevoli di ridefinire questi temi, anche perché è purtroppo diffusa nella nostra società una gravissima confusione su di essi. Le persone in genere, anche buoni cattolici, ritengono che la teoria dell'evoluzione sia tutto sommato incompatibile con le posizioni della Chiesa cattolica e con la nostra fede.
Questo è un problema serio, perché le cose non stanno affatto così.
Noi siamo sottoposti a un massiccio bombardamento mediatico, spesso anche informativo, che ci induce a credere che la teoria dell'evoluzione, il darwinismo, siano tali quali vengono interpretati e presentati dalla parte materialista del mondo scientifico.
Queste persone, come Dawkins (per dire un nome abbastanza noto), in realtà fanno dell'ideologia. Quello che loro dicono non esprime la teorie dell'evoluzione ma esprime il loro pensiero personale, cioè la loro rielaborazione “metafisica” della teoria dell'evoluzione.
Noi cattolici non dobbiamo fare l'errore gravissimo di prendere ciò che questi signori ci dicono come se fosse “la teoria dell'evoluzione”.
Questo è proprio l'errore che noi a volte compiamo, cioè prendere sostanzialmente per buono quello che i nostri avversari ci dicono, come se fossero teorie definitive, e come se la loro interpretazione ideologica fosse “la teoria”.Nel 2005 ho avuto modo di leggere un numero completo del Nouvel Observateur dedicato all'evoluzione. In quel numero alcuni nomi autorevoli (qualcuno anche della Sorbona) sostenevano che la teoria dell'evoluzione dimostra che Dio non esiste.
Questa affermazione è, epistemologicamente parlando, erronea. Le cose che si possono effettivamente dimostrare in scienza sono molto poche. Poi si confondono i piani tra teologia e scienza naturale o tra filosofia e scienza naturale. Quindi dire che si possa dimostrare che Dio non esiste, non corrisponde ad alcun canone, non dico scientifico ma nemmeno argomentativo. Purtroppo però molti cattolici prendono queste cose per buone; questo è un errore che si commette molto spesso.Quindi fare luce su tali problematiche, mostrare cosa queste teorie scientifiche hanno da dirci, qual è il loro vero contenuto, questa è la sfida. Noi cominciamo proprio da qui: accertare cos'è il darwinismo, cos'è la teoria dell'evoluzione.
Il secondo punto fondamentale è quali siano i problemi che tali teorie sollevano, quali le questioni aperte che per noi anche sono interessanti; e quali sono gli stimoli che ci possono offrire, in cosa ci spingono anche a ripensare in parte le nostre conclusioni in ambiti filosofici e teologici.
Ecco, questo apre una strada nuova per la comprensione e il dialogo che riteniamo possa essere utile alla Chiesa ma forse anche alla comunità scientifica, nonché a tutti gli uomini di buona volontà.

Il darwinismo da diversi punti di vista

I cattolici e la teoria dell'evoluzione
di Fiorenzo Facchini, Università di Bologna

da L'Osservatore Romano, 13 luglio 2008

In tema di evoluzione le espressioni del magistero da una parte riaffermano punti essenziali in una visione cristiana, dall'altra mettono in guardia da interpretazioni di tipo materialistico e riduzionistico. Nell'insieme si può riconoscere una conciliabilità, a determinate condizioni che sono quelle che ho cercato di riassumere in altri interventi in queste pagine: riconoscere la creazione come dipendenza radicale delle cose da Dio, secondo un suo progetto, e riconoscere la dimensione spirituale dell'uomo.

Più variegato si presenta il pensiero dei cattolici, laici e teologi, che può riguardare anche le modalità e il significato della evoluzione della vita. Nelle loro posizioni, più ancora che in quelle del magistero, si manifestano delle diversità che riguardano soprattutto il diverso modo di porsi di fronte al darwinismo che, come sappiamo, offre una particolare spiegazione dei meccanismi evolutivi e da taluni studiosi viene esteso arbitrariamente a una concezione della vita e della società.

Non ci sarebbe bisogno, anzi viene escluso ogni riferimento alla realtà trascendente. Da una teoria scientifica si passa a una ideologia materialista, inconciliabile con la visione cristiana, di cui vengono denunciate possibili conseguenze sul piano sociale ed etico. Di queste preoccupazioni si è fatto interprete più volte il cardinale Christoph Schönborn. Ma l'approfondimento dei teologi cerca anche di mettere in evidenza la verità e le conseguenze della creazione in relazione all'evoluzione della vita e alle diverse visioni evolutive.

Premesso che nessun cattolico potrebbe accettare una visione totalizzante di tipo riduzionistico dell'evoluzione, quale che sia il modello che la ispira, si registrano fra i cattolici posizioni diverse circa la teoria evolutiva, nella comune ammissione della dipendenza da Dio creatore e della spiritualità dell'essere umano.

Va rilevata prima di tutto una posizione di negazione o critica di fondo nei confronti della teoria evolutiva e non solo del darwinismo come ideologia. Essa è ispirata al timore che ammettendo l'evoluzione possa venire intaccata la dottrina sulla creazione e si tolga spazio all'azione di Dio. La conseguenza è quella di affermare la creazione - generalmente non secondo il senso letterale della Genesi, come invece alcuni continuano a sostenere in ambiente americano - ma si lascia da parte o si mette in dubbio l'evoluzione della vita sulla terra.

Non si tiene conto di tante osservazioni del mondo della scienza, non si accetta che la vita possa essersi evoluta attraverso tappe e processi biologici, come si ammette nella teoria evolutiva. Ci si aggrappa a tutto pur di contestare il fatto evolutivo, per esempio le lacune nelle serie evolutive. Le aperture del magistero vengono viste come concessioni non motivate e superabili. Posizioni di questo tipo ignorano non solo il progresso della ricerca scientifica, ma anche gli approfondimenti della teologia. Si distaccano sensibilmente dal magistero, non aiutano il necessario dialogo tra scienza e fede, tra scienza e teologia, e piuttosto favoriscono lo scontro.

Vi sono poi posizioni concilianti, ma assai diverse. Esse vanno dalla possibilità di ammettere la visione darwiniana nella evoluzione dei viventi, evitando di assumerla come ideologia totalizzante, ad altre più articolate.

Nel primo caso si ammette che la vita sulla terra si sia sviluppata per eventi casuali, anche se resi possibili da leggi e proprietà della natura, ma senza direzioni preordinate. Le direzioni evolutive, come sostengono i neodarwinisti, si sono formate nel tempo, ma senza alcun piano o intenzione esterna. Dai processi evolutivi così intesi è però scaturita una realtà, che nell'insieme appare ordinata, e può essersi realizzato un disegno.

Al concetto di una complessità crescente si associa quello dell'emergenza di nuove strutture e funzioni. È la posizione di vari scienziati credenti, fra cui il genetista Francisco Ayala, il quale parla di "disegno senza disegnatore". In questa linea si è espresso recentemente il genetista Francis Collins (2007), il quale ritiene che Dio non abbia bisogno di intervenire nell'evoluzione e sostiene un evoluzionismo teista che definisce "posizione BioLogos".

"L'evoluzionismo teistico, come il darwinismo classico - ha notato recentemente il cardinale Avery Dulles su "Vita e Pensiero" - si astiene dal propugnare un qualsiasi intervento divino nel processo evolutivo. Ammette che la comparsa degli esseri viventi, tra i quali l'uomo, possa a livello empirico essere spiegata con mutazioni casuali e la sopravvivenza del più adatto", ma rifiuta le conclusioni atee di Dawkins e dei suoi seguaci. È una posizione che il cardinale ritiene sostenibile da un cattolico e può rientrare in una filosofia cristiana della natura.

Posizioni parzialmente concilianti con la teoria darwiniana, ma critiche, sono espresse da coloro che ammettono la teoria di Darwin, ma non la ritengono sufficiente. A livello microevolutivo nessun problema, ma per la formazione di raggruppamenti superiori e delle grandi direzioni dei viventi occorre pensare ad altro.

In questo ambito rientrano modi di vedere molto diversi. Uno è la visione teilhardiana. Teilhard de Chardin, convinto assertore della dipendenza del mondo da Dio creatore e dell'evoluzione dei viventi, riteneva che i fattori sostenuti dalla teoria darwiniana non sono stati sufficienti per realizzare i processi evolutivi, caratterizzati da una crescita di complessità in determinate direzioni.

La complessità viene interpretata come crescita di coscienza, espressione di energia radiale - o energia psichica - che differisce dall'energia tangenziale propria dei processi biologici. Non si invocano fattori esterni, ma interni alla materia vivente. Tutta l'evoluzione è un muoversi "verso", una tensione che culmina nella coscienza riflessa dell'uomo e attraverso l'umanità tende a un superorganismo identificabile nel punto omega, che a sua volta coincide con il Cristo, ricapitolatore di tutta la realtà secondo san Paolo.

La visione da scientifica diventa mistica. Essa ha i caratteri di una grande sintesi in cui la storia della vita culmina nell'uomo, ma non si esaurisce neppure nella ominizzazione, e dà un senso nuovo alla storia. È possibile che vi siano forze interne che orientano l'evoluzione, ma non se ne conosce al momento la natura.

Un altro modo di affrontare la questione è quello relativo alla teoria dell'Intelligent design (Id). Maturata nell'ambiente dei creazionisti americani, la teoria rappresenta una versione moderna del cosiddetto creazionismo scientifico. L'evoluzione non viene negata a livello microevolutivo, ma si contesta che attraverso mutazioni casuali possano formarsi strutture irriducibilmente complesse - come per esempio il flagello batterico, l'occhio, la molecola dell'emoglobina - e viene invocata una causa superiore esterna, introducendo così nei processi evolutivi un agente di ordine non naturale. In questo modo può realizzarsi una evoluzione dei viventi rispondente a un disegno intelligente.

Questa posizione viene contestata dal punto di vista scientifico, perché non rappresenta una spiegazione scientifica dei processi evolutivi, e dal punto di vista teologico perché l'intervento di una causa esterna - facilmente identificabile con Dio - configura la sua azione come supplenza di fattori naturali che ancora non conosciamo e quindi, qualora venissimo a conoscerli, Dio apparirebbe come un tappabuchi della nostra ignoranza.

Se non si è soddisfatti delle attuali spiegazioni è meglio riconoscerlo e adoperarsi per trovarne altre, rimanendo nel campo delle scienze naturali. La posizione dell'Id ha il grave rischio di coinvolgere in un giudizio negativo l'idea di un disegno di Dio creatore, che fa parte della dottrina della Chiesa, ma non può essere mescolata con quella di un Dio che interviene a correggere la natura e a orientarne il corso. Senza dire che l'espressione "disegno intelligente" fa pensare alla natura come a un ingranaggio perfetto, un'idea che mal si accorda con incongruenze e anomalie nel mondo dei viventi e lascia comunque insoluti i drammatici interrogativi sulla sofferenza e sulla morte. Quale somiglianza - si chiede padre Martelet (2007) - fra il Dio della creazione e un "Designer cosmico" estraneo agli interrogativi ultimi dell'uomo? Ciò non esclude che si possa e si debba riconoscere un progetto superiore sulla natura e sull'uomo, conciliabile con un universo, che appare limitato e provvisorio, pur essendo nel suo insieme ordinato, e rimanda ad altro.

Ci sono poi tentativi di andare verso una sintesi. Il modello darwiniano dell'evoluzione è accettato come punto di partenza o come uno dei meccanismi evolutivi. Occorre però aprirsi a integrazioni e ampliamenti.

La casualità delle mutazioni non appare assoluta e si manifesta con dei vincoli che le incanalano; non si ritrova allo stesso modo nei vari livelli e strutture, non sembra spiegare le convergenze evolutive, in serie distanti nello spazio e nel tempo, e l'entrata in azione dei geni regolatori di strutture e funzioni complesse in linee evolutive diverse. Viene segnalata una eredità epigenetica per variazioni acquisite durante lo sviluppo, che si aggiunge a quella del dna. Si ammette che nella evoluzione concorrano fattori di tipo deterministico e fattori casuali.

È una posizione critica che guarda oltre il darwinismo, come unica spiegazione dell'evoluzione. Si potrebbe parlare di un evoluzionismo aperto a una nuova sintesi, in cui potrebbe essere meglio compreso come si realizzi il progetto di Dio creatore, in forza di potenzialità della materia vivente. Per quanto riguarda l'origine della vita sulla terra c'è chi ammette che sia avvenuta per cause naturali, altri non ne sono convinti. In ogni caso gli eventi che si svolgono rivelano potenzialità della materia creata da Dio.

Nella visione teilhardiana e in quella più sopra esposta l'evoluzione viene affermata, ma rimane aperto il campo sia per le scoperte della scienza che per approfondimenti della filosofia della natura per spiegare in modo soddisfacente le modalità con cui si è svolta l'evoluzione. In modo particolare è da approfondire il nesso tra causa efficiente e causa finale, rivelatore di finalismo, sia a livello di strutture (teleonomia o teleologia) che a livello più generale nel mondo vivente. Ciò assume rilevanza in ordine al senso dell'evoluzione. Come ha osservato il cardinale Schönborn (2007), nel dibattito sulla evoluzione "la questione decisiva non si pone sul piano delle scienze naturali e neppure della teologia, bensì si colloca fra l'una e l'altra: sul piano della filosofia della natura".

Si deve quindi continuare a esplorare la natura nelle sue diverse espressioni per coglierne il linguaggio e il messaggio che contiene, specialmente per quello che riguarda l'uomo. Forse in questo campo non vi sarà mai una parola ultima che disveli pienamente i segreti della natura e le intenzioni di Dio espresse nella creazione, ma rimane fondamentale rimanere aperti alle conquiste della mente umana.

© L'Osservatore Romano

La disperata ricerca di una zattera di ghiaccio

Corrispondenza dall'Artico a bordo dell'«Amundsen»

Lo scioglimento della banchisa mette in pericolo la sopravvivenza di molti animali

da L'Osservatore Romano del 10 luglio 2008

Nell'Anno Polare Internazionale cinquantamila ricercatori, provenienti da sessanta Paesi, sono impegnati in duecentoventotto progetti scientifici per cercare di capire cosa sta succedendo ai poli e indagare a fondo sulle cause dell'attuale emergenza climatica.

I poli sono senza dubbio le zone più sconosciute della terra. Da circa un secolo sono stati conquistati dopo vari tentativi sfortunati, ma solo più tardi si è compresa la loro importanza. Infatti, nei ghiacci della Groenlandia e dell'Antartide sono conservati gli archivi del passato climatico del nostro pianeta. Si può, attraverso i carotaggi, sapere come è stato il clima anche fino a un milione di anni fa e si è visto che si sono susseguiti periodi caldi, come l'attuale, ed ere glaciali per l'interazione di molti fattori geofisici e astronomici.

Il mutamento attuale è però dovuto in gran parte all'attività umana ed è difficile da contrastare, anche se si può in qualche modo ancora mitigare.

Dal penultimo Anno Polare (1957) molte cose sono mutate nello studio della Terra. Soprattutto ci sono i satelliti che osservano di continuo le condizioni del pianeta. Già negli anni Settanta si scoprì al Polo Sud il cattivo stato dell'ozono, il prezioso gas che negli strati alti dell'atmosfera protegge la vita terrestre. Allora fu rilevato il famoso "buco dell'ozono". Presto però ci si accorse che anche nell'atmosfera del Polo Nord l'ozono era diminuito.In seguito sempre più spesso enormi iceberg si staccarono dalla calotta antartica. Si calcolò che nell'Antartide la perdita annuale dei ghiacci aumentava da centododici miliardi di tonnellate nel 1996 a centonovantasei miliardi di tonnellate nel 2006. Nello stesso periodo, l'area occidentale della Groenlandia si riscaldava e lo scioglimento dei suoi ghiacci cresceva del trenta per cento. Ciò sta portando a un innalzamento del livello del mare che preoccupa le zone costiere basse, e ha già determinato l'abbandono di alcuni atolli nel Pacifico ormai semisommersi dall'acqua.

Si è iniziato così a capire che le regioni polari sono le aree più vulnerabili dai cambiamenti climatici e che da lì bisogna ripartire per analizzare bene cosa sta succedendo e poter prevedere che cosa ci riserva il futuro. Nelle foto satellitari di trent'anni fa si vedeva che l'estensione ghiacciata del tetto del mondo, ossia della banchisa sul Mar Glaciale Artico, era in estate di sette-nove milioni di chilometri quadrati. Nell'estate del 2007 la calotta si è ridotta alla metà ossia a circa quattro milioni di chilometri quadrati. Lo scioglimento della banchisa artica per l'aumento globale della temperatura non ha come conseguenza l'innalzamento del livello del mare, ma, per esempio, provoca la diminuzione rilevante di orsi bianchi, foche e trichechi, che hanno bisogno di solide "zattere" di ghiaccio su cui fermarsi, figliare e far crescere i piccoli.

Inoltre si sta incrinando il delicato equilibrio ambientale fra le varie specie che si sono adattate a queste condizioni estreme. Da una ricerca fatta al largo delle Svalbard, sullo zooplancton e in particolare sui gamberetti che popolano quelle acque, si è visto che molti di questi organismi hanno bisogno del ghiaccio per vivere. Siccome la banchisa ghiacciata sta arretrando sempre di più, si osserva una minore popolazione di questi animaletti, che sono cibo di pesci, come il merluzzo artico. Ciò sta portando a una diminuzione dei pesci e di conseguenza a una diminuzione di foche e trichechi, che si nutrono di pesci, fino ad arrivare all'orso polare, predatore di foche e pesci. Gli scienziati temono l'estinzione di questi animali.Nell'Artico si stanno aprendo, intanto, nuovi territori per la ricerca di petrolio e gas, e il famoso "Passaggio a Nord-Ovest" sempre più libero dai ghiacci, potrebbe diventare il percorso abituale per le navi tra l'Asia e l'Europa. Gli ambientalisti e i ricercatori tremano a queste prospettive, perché l'area polare, che il clima avverso aveva preservato a lungo da inquinamento e devastazioni, cambierà inesorabilmente.

Le ultime previsioni davano l'Artico libero dai ghiacci entro il 2030, ma ci si è accorti che queste previsioni, come quelle riguardanti il Polo Sud, sono ottimistiche. Non tengono conto, infatti, della "risposta dinamica" dell'ambiente a causa della diminuzione della superficie ghiacciata. Per esempio, la banchisa riflette in gran parte la luce solare e, essendo isolante, non permette ai raggi di scaldare l'acqua sottostante. L'acqua libera, invece, più scura assorbe molta luce, aumentando di conseguenza la sua temperatura e sciogliendo il ghiaccio circostante: si crea così una reazione positiva.

Dall'Amundsen, la nave rompighiaccio canadese su cui un gruppo di scienziati sta studiando sul "campo" gli effetti del cambiamento climatico, è in questi giorni lanciato l'allarme sulla possibilità che già quest'estate il Polo Nord possa essere per la prima volta libero dai ghiacci.Ormai anche le enormi lingue glaciali, che si inoltrano nel mare dalla calotta antartica o da quella della Groenlandia, da cui si staccano sempre più spesso iceberg giganteschi, accelerano il loro moto e quindi il loro scioglimento. Per esempio, il Ghiacciaio Morto della Groenlandia, che non si era mai mosso da quando fu scoperto nel 1750, nel 2000 si è messo improvvisamente in movimento rapido, disperdendo iceberg nell'oceano.

Accadono altri fenomeni preoccupanti nelle terre all'estremo nord: il permafrost si sta sciogliendo. Il permafrost è un terreno congelato, rimasto così anche per millenni.

A Tuktoyaktuk, villaggio eschimese a sessantanove gradi di latitudine nord, per esempio, il permafrost incomincia mezzo metro sotto la superficie del terreno e raggiunge i milletrecento metri di profondità. Avendo intrappolato enormi quantità di materiale organico e quindi di carbonio, con il suo disgelo sprigionerà una gran quantità di gas serra (da cinquecento a mille miliardi di tonnellate) nella sua decomposizione. Ma i problemi dati dal disgelo del permafrost non si riducono solo a questo. Sul terreno, una volta saldo perché gelato, le popolazioni native delle regioni polari hanno costruito le loro case. Ora, con l'aumento della temperatura, le case sprofondano nel fango e i villaggi stanno diventando paludi.

© L'Osservatore Romano

Questione ecologica e vita dell'uomo nel mondo

Il congresso al Padiglione della Santa Sede all'Expo Zaragoza 2008

da L'Osservatore Romano del 10 luglio 2008

"Il rapporto dell'uomo con il mondo"; "Ecologia della natura: il mondo come realtà etica per l'uomo"; "La cura dell'uomo nella sua vita terrena". Sono questi gli argomenti che guideranno la riflessione dei partecipanti al Congresso internazionale sul tema "La questione ecologica: la vita dell'uomo nel mondo", organizzato dalla Santa Sede nell'ambito delle iniziative legate alla sua partecipazione all'Esposizione internazionale ospitata a Zaragoza, in Spagna. Il congresso - sarà inaugurato giovedì mattina, 10 luglio, dal cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, con un breve saluto ai partecipanti - vedrà esperti di questioni ambientali spagnoli e di altri Paesi riuniti per una tre giorni di confronto e di scambi di informazioni sulle tematiche ambientali. Tra i partecipanti figurano i rappresentanti di oltre 15 università e istituzioni internazionali.

L'enfasi dell'Expo di Zaragoza sui temi cruciali dell'acqua e dello sviluppo sostenibile è all'origine dell'iniziativa della Santa Sede, da sempre sensibile ai problemi dell'ambiente. Con l'organizzazione di questo importante evento "si desidera rispondere - affermano gli organizzatori -, da una prospettiva umana e cristiana, alle domande che l'uomo si pone intorno all'evoluzione attuale del mondo, alla missione dell'uomo nell'universo, al senso dei suoi sforzi individuali e collettivi e, in definitiva, al destino ultimo delle cose e dell'umanità, come si legge del resto nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano ii, al n.3". Il senso dell'atteggiamento della Chiesa nei confronti della questione ecologica e ambientale sarà meglio precisato, durante il Congresso, dal segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace monsignor Giampaolo Crepaldi.

I lavori, come detto, si divideranno in tre giornate tematiche. Durante la prima - dedicata a "Il rapporto dell'uomo con il mondo" - tra i relatori figurano il professor Giovanni Salmeri, dell'università di Venezia, che tratterà l'argomento "L'uomo, spirito corporeo nel mondo"; mentre il professor Rafael Alvira Domínguez, dell'università di Pamplona, Spagna, proporrà una riflessione su "Il mondo, contesto della vita dell'uomo".

I lavori della seconda giornata saranno invece incentrati sul tema "Ecologia della natura: il mondo come realtà etica per l'uomo". Interverranno tra gli altri il gesuita Samir Khalil Samir, università Saint-Joseph, Beirut. il quale svilupperà l'argomento "Islam: apprezzamento per la natura e sottomissione della creazione a Dio. Elementi di contrasto con il Cristianesimo" e il vescovo Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il quale proporrà come argomento di riflessione "Il comportamento ecologico: la responsabilità etica dell'uomo nei confronti della natura e della sua stessa vita nel mondo".

La giornata conclusiva del Congresso, sabato 12 luglio, prevede i contributi del professor Francesco Viola, dell'università di Palermo con la relazione "La protezione dell'essere umano. Valori e diritti fondamentali dell'uomo come essere vivente e essere convivente nel mondo", cui farà seguito la riflessione finale proposta dal cardinale Martino sul tema "L'ecologia nell'ottica della Dottrina Sociale della Chiesa: amore e razionalità dell'uomo verso il mondo". Domenica 13 luglio è infine prevista la celebrazione della "Giornata della Santa Sede" all'Expo di Zaragoza, presieduta dal cardinale Martino, che è accompagnato dal nunzio apostolico in Spagna, arcivescovo Manuel Monteiro de Castro e dall'arcivescovo di Zaragoza, monsignor Manuel Ureña Pastor. Il primo momento si svolgerà presso l'auditorium del Palazzo dei Congressi. Dopo uno scambio di saluti tra il cardinale Martino e il rappresentante del governo spagnolo sarà offerto un intrattenimento musicale a opera del gruppo vocale e strumentale "Los Músicos de Su Alteza".

I partecipanti raggiungeranno quindi il Padiglione della Santa Sede per una visita alla struttura. In serata, il Padiglione della Santa Sede offrirà un concerto in omaggio a Benedetto XVI, presso l'Auditorium di Zaragoza. Interpretato dall'Orchestra Sinfonica Europea, diretta da Inma Shara, l'evento musicale andrà a beneficio di "Mani Tese" e sarà destinato a progetti di gestione dell'acqua per le comunità rurali dell'India.

© L'Osservatore Romano

mercoledì, luglio 16, 2008

Il programma della visita del Papa in Francia

Per il centocinquantesimo anniversario delle apparizioni della Vergine nella Grotta di Lourdes

da L'Osservatore Romano del 6 luglio 2008

Sarà un viaggio breve ma intenso quello di Benedetto XVI in Francia, dal 12 al 15 settembre prossimi. Il programma è stato reso noto ieri, venerdì 4, dalla sala stampa della Santa Sede.

Quattro giorni la durata; due le tappe (Parigi e Lourdes); quattro i momenti "istituzionali", cioè gli incontri con le autorità civili; tre le celebrazioni eucaristiche; tre le partecipazioni a momenti liturgici diversi (recita dei vespri e processioni), tre le visite a luoghi significativi; quattro incontri con le diverse componenti della comunità ecclesiale francese; un incontro con la comunità ebraica; il pranzo con i vescovi francesi; undici, al momento, i discorsi previsti.

Tappa più istituzionale quella di Parigi; eminentemente pastorale quella di Lourdes. È l'estrema sintesi del decimo viaggio di Papa Benedetto XVI oltre i confini italiani (il nono è quello che si accinge a compiere in Australia dal 12 al 21 prossimi). L'occasione per la sua prima visita al paese transalpino è la celebrazione del centocinquantesimo anniversario delle apparizioni della Vergine Maria a Bernadette Soubirous nella grotta di Massabielle. In realtà il Papa avrà modo di prendere contatto con una Chiesa che ha estremamente bisogno di riaprirsi alla speranza, soprattutto nella sua componente più giovane.

Partirà venerdì mattina, 12 settembre dall'aeroporto internazionale Leonardo da Vinci. Giungerà poco dopo due ore di viaggio all'aeroporto di Orly, Parigi, dove avverrà la consueta cerimonia di benvenuto. Il primo appuntamento è con il presidente francese Nicolas Sarkozy all'Eliseo. A fine mattinata incontrerà le autorità civili, sempre all'Eliseo.

Nel primo pomeriggio incontrerà nella nunziatura di Parigi i rappresentanti della comunità ebraica, la terza per importanza nel mondo, dopo quella che risiede naturalmente ad Israele, e quella degli Stati Uniti.

Successivamente il Papa si recherà nel Collegio dei Bernardini di Parigi per incontrare gli esponenti del mondo della cultura. Il Collegio rappresenta un punto di riferimento particolare per la cultura francese, per quella parigina in particolare. Si tratta di un edificio di eccezionale bellezza, risalente al xii secolo, completamente restaurato - i lavori si sono appena conclusi e per la prima volta aprirà le porte al pubblico il 5,6, e 7 settembre prossimi. Dopo la celebrazione dei vespri nella cattedrale di Notre Dame con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi, ci sarà l'attesissimo incontro con i giovani, con i quali il Papa inaugurerà una veglia di preghiera che si prolungherà per tutta la notte in tutte le chiese della città.

La prima messa a Parigi il Papa la celebrerà il mattino successivo, sabato 13, sulla storica "esplanade des invalides". Quanto ai partecipanti le previsioni prudentemente si attestano sulle duecentomila persone. C'è da credere che saranno molte di più accalcati sul lungo Senna. Il pranzo in nunziatura con i vescovi dell'Île de France concluderà la tappa parigina. Nel primo pomeriggio l'arrivo a Lourdes. Visiterà la chiesa del sacro Cuore e poi la grotta delle apparizioni. In serata concluderà la suggestiva processione aux flambeaux nel piazzale del rosario del santuario.

La domenica successiva celebrerà la messa del centocinquantesimo delle apparizioni nella Praierie. Nel pomeriggio, dopo l'incontro con i vescovi concluderà la processione eucaristica alla Praierie.

Lunedì mattina visiterà l'oratorio dell'ospedale e, nella basilica cattedrale di Notre Dame di Lourdes, celebrerà la messa per i malati. Sarà l'ultimo incontro: la cerimonia di congedo all'aeroporto di Tarbes-Lourdes-Pyrénnées è in programma per fine mattinata. Il rientro in Italia avverrà nel primo pomeriggio.

©L'Osservatore Romano

giovedì, luglio 10, 2008

La scomparsa di Sir John Marks Templeton

E' scomparso l'8 luglio, all'età di 95 anni, Sir John Marks Templeton, finanziere, imprenditore e filantropo, autore di numerosi libri, e fondatore della John Templeton Foundation, con la quale per trent'anni ha sostenuto la ricerca sulla scienza, la religione e il significato della vita.

Nel 1972 aveva istituito il Templeton Prize, destinato a premiare ogni anno i più importanti lavori di studio e ricerca sulla dimensione spirituale dell'esistenza umana, e sul rapporto tra scienza e religione.

Il premio è significativamente di ammontare superiore al premio Nobel per sottolineare la sua convinzione nell'importanza delle ricerche nella dimensione spirituale, in confronto alle ricerche in ambiti esclusivamente scientifici.

La Fondazione Templeton sostiene attività di ricerca scientifica nelle più importanti università, in ambiti quali la fisica teorica, la cosmologia, le scienze fisiche, la biologia evolutiva, le scienze sociali, le scienze cognitive, in relazione alla religione e alla religiosità, la creatività, il senso dell'esistenza umana, l'amore e il perdono.

La Templeton Foundation incoraggia e sostiene anche il dialogo informato e aperto tra scienziati e teologi, sulle cosiddette "Grandi Questioni", quali l'esistenza di Dio, la religione e la religiosità, lo scopo dell'esistenza umana, il rapporto tra scienza e religione.

Sir John Marks Templeton è stato autore di numerosi libri, tra cui ricordiamo "The Humble Approach. Scientists Discover God", del 1981.

Link John Templeton Foundation - The New York Times


foto John Templeton Foundation

mercoledì, luglio 09, 2008

Lo Stato della Louisiana autorizza l'insegnamento anche di ipotesi critiche o alternative al darwinismo

Una decisione che ha sollevato da una parte numerosi consensi, soprattutto da parte di insegnanti, genitori e studenti di fede religiosa, e dall'altra molte critiche, soprattutto da parte di chi teme che si possa delegittimare le basi stesse dell'insegnamento delle teorie evolutive.

Una logica, questa, quasi da “enclave” intellettuale, e che per anni, non solo ha limitato lo spirito critico degli studenti, ma escludendo la possibilità di riflettere su ipotesi alternative, ha anche di fatto contribuito a rendere apparentemente difficile o impossibile il dialogo tra fede e scienza sull'evoluzione.

Uno delle ragioni alla base di questa decisione, che potrebbe essere presa da esempio anche in altri stati, è proprio la volontà di “promuovere capacità di pensiero critico”.

Link NYT
PC

Su Wired il dibattito su fede e alieni, dopo le dichiarazioni di Padre Funes

L'intervista di Padre José Luis Funes all'Osservatore Romano (link), da SRM segnalata nella Newsletter n. 68 (link) in cui il gesuita astronomo, direttore degli Osservatori Vaticani, parlava della conciliabilità tra fede e studi astronomici, dell'interesse della Chiesa Cattolica per l'astronomia, e della compatibilità della fede con le teorie evolutive e con l'ipotesi dell'esistenza nell'universo di “altri esseri, anche intelligenti, creati da Dio”, ha suscitato forte interesse e curiosità.

Wired dedica all'argomento un articolo, Christian Theologians Prepare for Extraterrestrial Life in cui, con riflessioni di di vari studiosi e religiosi, dall'astronomo vaticano Padre Guy Consolmagno al Pastore Mark Conn (Noble Hill Baptist Church, Springfield, Missouri), a Douglas Vakoch, direttore dell' Interstellar Message Composition al SETI Institute, vengono brevemente esaminate alcune questioni legate all'esistenza di altre forme di vita, dal loro significato per la religione alla possibile religiosità degli “alieni”, dal significato della venuta di Gesù sulla terra, alla possibilità che eventuali esseri di altri pianeti possano essere “senza peccato”.

Da segnalare che Consolmagno ha pubblicato, nel 2005, “Intelligent Life in the Universe ? Catholic Belief and the Search for Extraterrestrial Intelligent Life”(Consolmagno SJ, Br Guy ),
link

Link intervista da L'Osservatore Romano: SRM - SRM Blog

Wired:
Christian Theologians Prepare for Extraterrestrial Life
Wired: Reporter's Notebook: God, Aliens and Us
Intelligent Life in the Universe ?
Catholic Belief and the Search for Extraterrestrial Intelligent Life
Fonte:
InnoNation, Wired

venerdì, luglio 04, 2008

Embrioni chimera e orizzonti della biomedicina

Se è il progresso scientifico a definire il bene e il male

di Augusto Pessina
da L'Osservatore Romano, 10 giugno 2008

Dopo che la Camera dei Comuni britannica ha aperto la strada alla creazione degli embrioni ibridi uomo-animale abbiamo assistito alla grande soddisfazione di molti ricercatori che hanno visto in questa decisione una grande vittoria del progresso scientifico biomedico. C'è invece una notizia che nessuno purtroppo vuole dare: la cosiddetta "biomedicina" è malata anch'essa di una patologia grave e, se non curata, porterà danni irreparabili.

Il primo sintomo della patologia è già insito nell'ambiguo termine "biomedicina" che nell'immaginario collettivo è diventata una specie di "zona franca", dove sembra possibile fare di tutto. Da una parte la ricerca biologica, circonfusa di un alone di sacralità "medica" - leggi: votata alla cura e alla terapia - può finalmente condurre tutte le sue sperimentazioni anche le più aberranti e inutili. Dall'altra, la medicina sembra perdere ogni giorno coscienza del suo vero compito che è di prendersi cura dell'uomo per guarirlo dalla malattia, ove possibile; alleviarne le sofferenze e accompagnarlo fino a morte dignitosa ove la guarigione non sia possibile. La medicina può e deve utilizzare tutte le conoscenze biologiche a patto che non annullino la sua missione e il rispetto della dignità umana.

Leggendo quanto affermato da Benedetto XVI a Ratisbona - e in molte altre occasioni - si capisce meglio dove comincia la malattia della scienza. Da quando la "ragione" dell'uomo si è trasformata, da strumento di indagine e di apertura verso la realtà, a "misura" di tutto, l'assolutizzazione della ricerca scientifica e della scienza - in particolare biomedica - provoca una nefasta ricaduta sulla società. La scienza biomedica è oggi proposta e percepita come "il massimo bene" per l'uomo al quale sembra promettere non solo la salute - che peraltro non è in grado di garantire - ma anche una sorta di "salvezza".

La vera origine della questione è descritta, ancor più chiaramente, in un brano riportato nella enciclica Spe salvi là dove il Papa la ricollega al pensiero di Francesco Bacone (1561-1626). Come scrive Benedetto XVI: "La novità - secondo la visione di Bacone - sta nella nuova correlazione tra scienza e prassi. Ciò viene poi applicato anche teologicamente. Questa nuova correlazione tra scienza e prassi significherebbe che il dominio sulla creazione, dato all'uomo da Dio e perso nel peccato originale, verrebbe ristabilito" (Spe salvi, 16). Se dunque questo dominio dell'uomo sulla creazione, perso con il peccato originale, viene ristabilito, significa che la "speranza di redenzione" può finalmente poggiare sulla "fede nel progresso". Si ha così l'evacuazione dell'aspetto più drammatico di tutta la storia dell'uomo dalla sua origine: quello del bene e del male. Non è più il bene o il male a definire se il passo che si fa è realmente un progresso per l'uomo, ma è il progresso che stabilisce cosa sia bene e cosa male per l'uomo stesso.

Il fatto è , come scriveva anche il grande matematico Jules-Henri Poincarè, che "La scienza può farci conoscere i rapporti tra le cose, non le cose in quanto tali. Al di là di questi rapporti non c'è alcuna realtà conoscibile scientificamente. L'esperienza è la sola fonte di verità, essa sola ci può insegnare qualcosa di nuovo". Il concetto di esperienza ristabilisce correttamente il rapporto con la realtà perché l'esperienza implica quel livello assai misterioso dell'autocoscienza che è l'io di cui la scienza non si può occupare con il suo metodo. Per questo, un uomo che rifletta onestamente trova, al fondo della propria esperienza, indipendentemente dallo stato di benessere sociale, economico, di razza e religione, una risultante ultima e comune: la percezione del "limite" e dell'impotenza di fronte al dolore e al male. Esperienza che si può negare solo ricorrendo alla illusione irrazionale che si tratti di una condizione transitoria che la scienza e la tecnologia saranno in grado di eliminare. Una semplice questione di tempo, poi i limiti e i bisogni di oggi saranno superati e risolti, il progresso stesso ci aiuterà a superare tutte le dipendenze.

È così che nella cosiddetta "scienza biomedica" ha preso corpo una forma di "utopia" che distrugge ogni costruttivo realismo fino a condurre a investire milioni di euro per ricerche, non solo aberranti, ma perfino "inutili", come queste degli ibridi. Con esse si promettono (domani) soluzioni a tutto e intanto si sottraggono fondi a quelle ricerche e a quegli interventi che, più realisticamente, potrebbero almeno migliorare in poco tempo molta pratica medica.

La crudeltà delle utopie è proprio nel fatto che, rimandando sempre al domani, negano una possibile esperienza positiva di umanità oggi, distruggendo così la possibilità di fare esperienza della speranza stessa. La speranza infatti vive ed è alimentata in un presente vissuto con la coscienza che la vita ha un significato oggi. E riconoscere il bisogno che un uomo vive "nell'oggi" costringerebbe la ragione a cercare un senso a quanto accade ora e che non dipende da me. Il domani lo si può svendere come un software dove tutto è virtuale, ma il gioco aiuta solo a dimenticare l'urgenza odierna di significato.

Alcune devastanti conseguenze della "fede nel progresso" sono bene descritte nella enciclica Spe salvi che al termine della analisi ribadisce, con l'intensità di un grido, quale sia l'unica vera possibilità di recupero e quindi di speranza. Scrive Benedetto XVI: "Non è la scienza che redime l'uomo. L'uomo viene redento mediante l'amore. Ciò vale già nell'ambito puramente intramondano. Quando uno nella sua vita fa l'esperienza di un grande amore, quello è un momento di "redenzione" che dà un senso nuovo alla sua vita". E più avanti: "L'essere umano ha bisogno dell'amore incondizionato. Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora - solo allora - l'uomo è redento, qualunque cosa gli accada nel caso particolare. È questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha "redenti "" (Spe salvi, 26).

Come ha denunciato Marc Gellman l'indomani della clonazione della pecora Dolly, nel dibattito organizzato dalla New York Academy of Science, "C'è una sapienza delle persone comuni che è stata ingiustamente oltraggiata da coloro che ritengono che non conoscere termini come aploide, diploide ed embrione totipotente sia moralmente disdicevole. C'è invece una forte e reale conoscenza che noi non siamo i creatori di noi stessi. Le nuove tecnologie minacciano questa fondamentale verità in modo potente e doloroso" ("The Sciences", 37; novembre 1997).

La prima elementare libertà dovrebbe essere nel riconoscere questa dipendenza per non divenire schiavi di noi stessi e dei nostri sogni.


* Università di Milano, Presidente dell'Associazione Italiana Colture Cellulari

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Fonte DISF, Euresis