I cattolici e la teoria dell'evoluzione
di Fiorenzo Facchini, Università di Bologna
da L'Osservatore Romano, 13 luglio 2008
In tema di evoluzione le espressioni del magistero da una parte riaffermano punti essenziali in una visione cristiana, dall'altra mettono in guardia da interpretazioni di tipo materialistico e riduzionistico. Nell'insieme si può riconoscere una conciliabilità, a determinate condizioni che sono quelle che ho cercato di riassumere in altri interventi in queste pagine: riconoscere la creazione come dipendenza radicale delle cose da Dio, secondo un suo progetto, e riconoscere la dimensione spirituale dell'uomo.
Più variegato si presenta il pensiero dei cattolici, laici e teologi, che può riguardare anche le modalità e il significato della evoluzione della vita. Nelle loro posizioni, più ancora che in quelle del magistero, si manifestano delle diversità che riguardano soprattutto il diverso modo di porsi di fronte al darwinismo che, come sappiamo, offre una particolare spiegazione dei meccanismi evolutivi e da taluni studiosi viene esteso arbitrariamente a una concezione della vita e della società.
Non ci sarebbe bisogno, anzi viene escluso ogni riferimento alla realtà trascendente. Da una teoria scientifica si passa a una ideologia materialista, inconciliabile con la visione cristiana, di cui vengono denunciate possibili conseguenze sul piano sociale ed etico. Di queste preoccupazioni si è fatto interprete più volte il cardinale Christoph Schönborn. Ma l'approfondimento dei teologi cerca anche di mettere in evidenza la verità e le conseguenze della creazione in relazione all'evoluzione della vita e alle diverse visioni evolutive.
Premesso che nessun cattolico potrebbe accettare una visione totalizzante di tipo riduzionistico dell'evoluzione, quale che sia il modello che la ispira, si registrano fra i cattolici posizioni diverse circa la teoria evolutiva, nella comune ammissione della dipendenza da Dio creatore e della spiritualità dell'essere umano.
Va rilevata prima di tutto una posizione di negazione o critica di fondo nei confronti della teoria evolutiva e non solo del darwinismo come ideologia. Essa è ispirata al timore che ammettendo l'evoluzione possa venire intaccata la dottrina sulla creazione e si tolga spazio all'azione di Dio. La conseguenza è quella di affermare la creazione - generalmente non secondo il senso letterale della Genesi, come invece alcuni continuano a sostenere in ambiente americano - ma si lascia da parte o si mette in dubbio l'evoluzione della vita sulla terra.
Non si tiene conto di tante osservazioni del mondo della scienza, non si accetta che la vita possa essersi evoluta attraverso tappe e processi biologici, come si ammette nella teoria evolutiva. Ci si aggrappa a tutto pur di contestare il fatto evolutivo, per esempio le lacune nelle serie evolutive. Le aperture del magistero vengono viste come concessioni non motivate e superabili. Posizioni di questo tipo ignorano non solo il progresso della ricerca scientifica, ma anche gli approfondimenti della teologia. Si distaccano sensibilmente dal magistero, non aiutano il necessario dialogo tra scienza e fede, tra scienza e teologia, e piuttosto favoriscono lo scontro.
Vi sono poi posizioni concilianti, ma assai diverse. Esse vanno dalla possibilità di ammettere la visione darwiniana nella evoluzione dei viventi, evitando di assumerla come ideologia totalizzante, ad altre più articolate.
Nel primo caso si ammette che la vita sulla terra si sia sviluppata per eventi casuali, anche se resi possibili da leggi e proprietà della natura, ma senza direzioni preordinate. Le direzioni evolutive, come sostengono i neodarwinisti, si sono formate nel tempo, ma senza alcun piano o intenzione esterna. Dai processi evolutivi così intesi è però scaturita una realtà, che nell'insieme appare ordinata, e può essersi realizzato un disegno.
Al concetto di una complessità crescente si associa quello dell'emergenza di nuove strutture e funzioni. È la posizione di vari scienziati credenti, fra cui il genetista Francisco Ayala, il quale parla di "disegno senza disegnatore". In questa linea si è espresso recentemente il genetista Francis Collins (2007), il quale ritiene che Dio non abbia bisogno di intervenire nell'evoluzione e sostiene un evoluzionismo teista che definisce "posizione BioLogos".
"L'evoluzionismo teistico, come il darwinismo classico - ha notato recentemente il cardinale Avery Dulles su "Vita e Pensiero" - si astiene dal propugnare un qualsiasi intervento divino nel processo evolutivo. Ammette che la comparsa degli esseri viventi, tra i quali l'uomo, possa a livello empirico essere spiegata con mutazioni casuali e la sopravvivenza del più adatto", ma rifiuta le conclusioni atee di Dawkins e dei suoi seguaci. È una posizione che il cardinale ritiene sostenibile da un cattolico e può rientrare in una filosofia cristiana della natura.
Posizioni parzialmente concilianti con la teoria darwiniana, ma critiche, sono espresse da coloro che ammettono la teoria di Darwin, ma non la ritengono sufficiente. A livello microevolutivo nessun problema, ma per la formazione di raggruppamenti superiori e delle grandi direzioni dei viventi occorre pensare ad altro.
In questo ambito rientrano modi di vedere molto diversi. Uno è la visione teilhardiana. Teilhard de Chardin, convinto assertore della dipendenza del mondo da Dio creatore e dell'evoluzione dei viventi, riteneva che i fattori sostenuti dalla teoria darwiniana non sono stati sufficienti per realizzare i processi evolutivi, caratterizzati da una crescita di complessità in determinate direzioni.
La complessità viene interpretata come crescita di coscienza, espressione di energia radiale - o energia psichica - che differisce dall'energia tangenziale propria dei processi biologici. Non si invocano fattori esterni, ma interni alla materia vivente. Tutta l'evoluzione è un muoversi "verso", una tensione che culmina nella coscienza riflessa dell'uomo e attraverso l'umanità tende a un superorganismo identificabile nel punto omega, che a sua volta coincide con il Cristo, ricapitolatore di tutta la realtà secondo san Paolo.
La visione da scientifica diventa mistica. Essa ha i caratteri di una grande sintesi in cui la storia della vita culmina nell'uomo, ma non si esaurisce neppure nella ominizzazione, e dà un senso nuovo alla storia. È possibile che vi siano forze interne che orientano l'evoluzione, ma non se ne conosce al momento la natura.
Un altro modo di affrontare la questione è quello relativo alla teoria dell'Intelligent design (Id). Maturata nell'ambiente dei creazionisti americani, la teoria rappresenta una versione moderna del cosiddetto creazionismo scientifico. L'evoluzione non viene negata a livello microevolutivo, ma si contesta che attraverso mutazioni casuali possano formarsi strutture irriducibilmente complesse - come per esempio il flagello batterico, l'occhio, la molecola dell'emoglobina - e viene invocata una causa superiore esterna, introducendo così nei processi evolutivi un agente di ordine non naturale. In questo modo può realizzarsi una evoluzione dei viventi rispondente a un disegno intelligente.
Questa posizione viene contestata dal punto di vista scientifico, perché non rappresenta una spiegazione scientifica dei processi evolutivi, e dal punto di vista teologico perché l'intervento di una causa esterna - facilmente identificabile con Dio - configura la sua azione come supplenza di fattori naturali che ancora non conosciamo e quindi, qualora venissimo a conoscerli, Dio apparirebbe come un tappabuchi della nostra ignoranza.
Se non si è soddisfatti delle attuali spiegazioni è meglio riconoscerlo e adoperarsi per trovarne altre, rimanendo nel campo delle scienze naturali. La posizione dell'Id ha il grave rischio di coinvolgere in un giudizio negativo l'idea di un disegno di Dio creatore, che fa parte della dottrina della Chiesa, ma non può essere mescolata con quella di un Dio che interviene a correggere la natura e a orientarne il corso. Senza dire che l'espressione "disegno intelligente" fa pensare alla natura come a un ingranaggio perfetto, un'idea che mal si accorda con incongruenze e anomalie nel mondo dei viventi e lascia comunque insoluti i drammatici interrogativi sulla sofferenza e sulla morte. Quale somiglianza - si chiede padre Martelet (2007) - fra il Dio della creazione e un "Designer cosmico" estraneo agli interrogativi ultimi dell'uomo? Ciò non esclude che si possa e si debba riconoscere un progetto superiore sulla natura e sull'uomo, conciliabile con un universo, che appare limitato e provvisorio, pur essendo nel suo insieme ordinato, e rimanda ad altro.
Ci sono poi tentativi di andare verso una sintesi. Il modello darwiniano dell'evoluzione è accettato come punto di partenza o come uno dei meccanismi evolutivi. Occorre però aprirsi a integrazioni e ampliamenti.
La casualità delle mutazioni non appare assoluta e si manifesta con dei vincoli che le incanalano; non si ritrova allo stesso modo nei vari livelli e strutture, non sembra spiegare le convergenze evolutive, in serie distanti nello spazio e nel tempo, e l'entrata in azione dei geni regolatori di strutture e funzioni complesse in linee evolutive diverse. Viene segnalata una eredità epigenetica per variazioni acquisite durante lo sviluppo, che si aggiunge a quella del dna. Si ammette che nella evoluzione concorrano fattori di tipo deterministico e fattori casuali.
È una posizione critica che guarda oltre il darwinismo, come unica spiegazione dell'evoluzione. Si potrebbe parlare di un evoluzionismo aperto a una nuova sintesi, in cui potrebbe essere meglio compreso come si realizzi il progetto di Dio creatore, in forza di potenzialità della materia vivente. Per quanto riguarda l'origine della vita sulla terra c'è chi ammette che sia avvenuta per cause naturali, altri non ne sono convinti. In ogni caso gli eventi che si svolgono rivelano potenzialità della materia creata da Dio.
Nella visione teilhardiana e in quella più sopra esposta l'evoluzione viene affermata, ma rimane aperto il campo sia per le scoperte della scienza che per approfondimenti della filosofia della natura per spiegare in modo soddisfacente le modalità con cui si è svolta l'evoluzione. In modo particolare è da approfondire il nesso tra causa efficiente e causa finale, rivelatore di finalismo, sia a livello di strutture (teleonomia o teleologia) che a livello più generale nel mondo vivente. Ciò assume rilevanza in ordine al senso dell'evoluzione. Come ha osservato il cardinale Schönborn (2007), nel dibattito sulla evoluzione "la questione decisiva non si pone sul piano delle scienze naturali e neppure della teologia, bensì si colloca fra l'una e l'altra: sul piano della filosofia della natura".
Si deve quindi continuare a esplorare la natura nelle sue diverse espressioni per coglierne il linguaggio e il messaggio che contiene, specialmente per quello che riguarda l'uomo. Forse in questo campo non vi sarà mai una parola ultima che disveli pienamente i segreti della natura e le intenzioni di Dio espresse nella creazione, ma rimane fondamentale rimanere aperti alle conquiste della mente umana.
© L'Osservatore Romano
di Fiorenzo Facchini, Università di Bologna
da L'Osservatore Romano, 13 luglio 2008
In tema di evoluzione le espressioni del magistero da una parte riaffermano punti essenziali in una visione cristiana, dall'altra mettono in guardia da interpretazioni di tipo materialistico e riduzionistico. Nell'insieme si può riconoscere una conciliabilità, a determinate condizioni che sono quelle che ho cercato di riassumere in altri interventi in queste pagine: riconoscere la creazione come dipendenza radicale delle cose da Dio, secondo un suo progetto, e riconoscere la dimensione spirituale dell'uomo.
Più variegato si presenta il pensiero dei cattolici, laici e teologi, che può riguardare anche le modalità e il significato della evoluzione della vita. Nelle loro posizioni, più ancora che in quelle del magistero, si manifestano delle diversità che riguardano soprattutto il diverso modo di porsi di fronte al darwinismo che, come sappiamo, offre una particolare spiegazione dei meccanismi evolutivi e da taluni studiosi viene esteso arbitrariamente a una concezione della vita e della società.
Non ci sarebbe bisogno, anzi viene escluso ogni riferimento alla realtà trascendente. Da una teoria scientifica si passa a una ideologia materialista, inconciliabile con la visione cristiana, di cui vengono denunciate possibili conseguenze sul piano sociale ed etico. Di queste preoccupazioni si è fatto interprete più volte il cardinale Christoph Schönborn. Ma l'approfondimento dei teologi cerca anche di mettere in evidenza la verità e le conseguenze della creazione in relazione all'evoluzione della vita e alle diverse visioni evolutive.
Premesso che nessun cattolico potrebbe accettare una visione totalizzante di tipo riduzionistico dell'evoluzione, quale che sia il modello che la ispira, si registrano fra i cattolici posizioni diverse circa la teoria evolutiva, nella comune ammissione della dipendenza da Dio creatore e della spiritualità dell'essere umano.
Va rilevata prima di tutto una posizione di negazione o critica di fondo nei confronti della teoria evolutiva e non solo del darwinismo come ideologia. Essa è ispirata al timore che ammettendo l'evoluzione possa venire intaccata la dottrina sulla creazione e si tolga spazio all'azione di Dio. La conseguenza è quella di affermare la creazione - generalmente non secondo il senso letterale della Genesi, come invece alcuni continuano a sostenere in ambiente americano - ma si lascia da parte o si mette in dubbio l'evoluzione della vita sulla terra.
Non si tiene conto di tante osservazioni del mondo della scienza, non si accetta che la vita possa essersi evoluta attraverso tappe e processi biologici, come si ammette nella teoria evolutiva. Ci si aggrappa a tutto pur di contestare il fatto evolutivo, per esempio le lacune nelle serie evolutive. Le aperture del magistero vengono viste come concessioni non motivate e superabili. Posizioni di questo tipo ignorano non solo il progresso della ricerca scientifica, ma anche gli approfondimenti della teologia. Si distaccano sensibilmente dal magistero, non aiutano il necessario dialogo tra scienza e fede, tra scienza e teologia, e piuttosto favoriscono lo scontro.
Vi sono poi posizioni concilianti, ma assai diverse. Esse vanno dalla possibilità di ammettere la visione darwiniana nella evoluzione dei viventi, evitando di assumerla come ideologia totalizzante, ad altre più articolate.
Nel primo caso si ammette che la vita sulla terra si sia sviluppata per eventi casuali, anche se resi possibili da leggi e proprietà della natura, ma senza direzioni preordinate. Le direzioni evolutive, come sostengono i neodarwinisti, si sono formate nel tempo, ma senza alcun piano o intenzione esterna. Dai processi evolutivi così intesi è però scaturita una realtà, che nell'insieme appare ordinata, e può essersi realizzato un disegno.
Al concetto di una complessità crescente si associa quello dell'emergenza di nuove strutture e funzioni. È la posizione di vari scienziati credenti, fra cui il genetista Francisco Ayala, il quale parla di "disegno senza disegnatore". In questa linea si è espresso recentemente il genetista Francis Collins (2007), il quale ritiene che Dio non abbia bisogno di intervenire nell'evoluzione e sostiene un evoluzionismo teista che definisce "posizione BioLogos".
"L'evoluzionismo teistico, come il darwinismo classico - ha notato recentemente il cardinale Avery Dulles su "Vita e Pensiero" - si astiene dal propugnare un qualsiasi intervento divino nel processo evolutivo. Ammette che la comparsa degli esseri viventi, tra i quali l'uomo, possa a livello empirico essere spiegata con mutazioni casuali e la sopravvivenza del più adatto", ma rifiuta le conclusioni atee di Dawkins e dei suoi seguaci. È una posizione che il cardinale ritiene sostenibile da un cattolico e può rientrare in una filosofia cristiana della natura.
Posizioni parzialmente concilianti con la teoria darwiniana, ma critiche, sono espresse da coloro che ammettono la teoria di Darwin, ma non la ritengono sufficiente. A livello microevolutivo nessun problema, ma per la formazione di raggruppamenti superiori e delle grandi direzioni dei viventi occorre pensare ad altro.
In questo ambito rientrano modi di vedere molto diversi. Uno è la visione teilhardiana. Teilhard de Chardin, convinto assertore della dipendenza del mondo da Dio creatore e dell'evoluzione dei viventi, riteneva che i fattori sostenuti dalla teoria darwiniana non sono stati sufficienti per realizzare i processi evolutivi, caratterizzati da una crescita di complessità in determinate direzioni.
La complessità viene interpretata come crescita di coscienza, espressione di energia radiale - o energia psichica - che differisce dall'energia tangenziale propria dei processi biologici. Non si invocano fattori esterni, ma interni alla materia vivente. Tutta l'evoluzione è un muoversi "verso", una tensione che culmina nella coscienza riflessa dell'uomo e attraverso l'umanità tende a un superorganismo identificabile nel punto omega, che a sua volta coincide con il Cristo, ricapitolatore di tutta la realtà secondo san Paolo.
La visione da scientifica diventa mistica. Essa ha i caratteri di una grande sintesi in cui la storia della vita culmina nell'uomo, ma non si esaurisce neppure nella ominizzazione, e dà un senso nuovo alla storia. È possibile che vi siano forze interne che orientano l'evoluzione, ma non se ne conosce al momento la natura.
Un altro modo di affrontare la questione è quello relativo alla teoria dell'Intelligent design (Id). Maturata nell'ambiente dei creazionisti americani, la teoria rappresenta una versione moderna del cosiddetto creazionismo scientifico. L'evoluzione non viene negata a livello microevolutivo, ma si contesta che attraverso mutazioni casuali possano formarsi strutture irriducibilmente complesse - come per esempio il flagello batterico, l'occhio, la molecola dell'emoglobina - e viene invocata una causa superiore esterna, introducendo così nei processi evolutivi un agente di ordine non naturale. In questo modo può realizzarsi una evoluzione dei viventi rispondente a un disegno intelligente.
Questa posizione viene contestata dal punto di vista scientifico, perché non rappresenta una spiegazione scientifica dei processi evolutivi, e dal punto di vista teologico perché l'intervento di una causa esterna - facilmente identificabile con Dio - configura la sua azione come supplenza di fattori naturali che ancora non conosciamo e quindi, qualora venissimo a conoscerli, Dio apparirebbe come un tappabuchi della nostra ignoranza.
Se non si è soddisfatti delle attuali spiegazioni è meglio riconoscerlo e adoperarsi per trovarne altre, rimanendo nel campo delle scienze naturali. La posizione dell'Id ha il grave rischio di coinvolgere in un giudizio negativo l'idea di un disegno di Dio creatore, che fa parte della dottrina della Chiesa, ma non può essere mescolata con quella di un Dio che interviene a correggere la natura e a orientarne il corso. Senza dire che l'espressione "disegno intelligente" fa pensare alla natura come a un ingranaggio perfetto, un'idea che mal si accorda con incongruenze e anomalie nel mondo dei viventi e lascia comunque insoluti i drammatici interrogativi sulla sofferenza e sulla morte. Quale somiglianza - si chiede padre Martelet (2007) - fra il Dio della creazione e un "Designer cosmico" estraneo agli interrogativi ultimi dell'uomo? Ciò non esclude che si possa e si debba riconoscere un progetto superiore sulla natura e sull'uomo, conciliabile con un universo, che appare limitato e provvisorio, pur essendo nel suo insieme ordinato, e rimanda ad altro.
Ci sono poi tentativi di andare verso una sintesi. Il modello darwiniano dell'evoluzione è accettato come punto di partenza o come uno dei meccanismi evolutivi. Occorre però aprirsi a integrazioni e ampliamenti.
La casualità delle mutazioni non appare assoluta e si manifesta con dei vincoli che le incanalano; non si ritrova allo stesso modo nei vari livelli e strutture, non sembra spiegare le convergenze evolutive, in serie distanti nello spazio e nel tempo, e l'entrata in azione dei geni regolatori di strutture e funzioni complesse in linee evolutive diverse. Viene segnalata una eredità epigenetica per variazioni acquisite durante lo sviluppo, che si aggiunge a quella del dna. Si ammette che nella evoluzione concorrano fattori di tipo deterministico e fattori casuali.
È una posizione critica che guarda oltre il darwinismo, come unica spiegazione dell'evoluzione. Si potrebbe parlare di un evoluzionismo aperto a una nuova sintesi, in cui potrebbe essere meglio compreso come si realizzi il progetto di Dio creatore, in forza di potenzialità della materia vivente. Per quanto riguarda l'origine della vita sulla terra c'è chi ammette che sia avvenuta per cause naturali, altri non ne sono convinti. In ogni caso gli eventi che si svolgono rivelano potenzialità della materia creata da Dio.
Nella visione teilhardiana e in quella più sopra esposta l'evoluzione viene affermata, ma rimane aperto il campo sia per le scoperte della scienza che per approfondimenti della filosofia della natura per spiegare in modo soddisfacente le modalità con cui si è svolta l'evoluzione. In modo particolare è da approfondire il nesso tra causa efficiente e causa finale, rivelatore di finalismo, sia a livello di strutture (teleonomia o teleologia) che a livello più generale nel mondo vivente. Ciò assume rilevanza in ordine al senso dell'evoluzione. Come ha osservato il cardinale Schönborn (2007), nel dibattito sulla evoluzione "la questione decisiva non si pone sul piano delle scienze naturali e neppure della teologia, bensì si colloca fra l'una e l'altra: sul piano della filosofia della natura".
Si deve quindi continuare a esplorare la natura nelle sue diverse espressioni per coglierne il linguaggio e il messaggio che contiene, specialmente per quello che riguarda l'uomo. Forse in questo campo non vi sarà mai una parola ultima che disveli pienamente i segreti della natura e le intenzioni di Dio espresse nella creazione, ma rimane fondamentale rimanere aperti alle conquiste della mente umana.
© L'Osservatore Romano