sabato, luglio 26, 2008

Poblet: ipotesi per un nuovo concetto di specie

Intervista al Prof. Gennaro Auletta, Direttore Scientifico STOQ e Direttore Scientifico della Specializzazione in Scienze della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana.

Prof. Auletta, può farci un bilancio di questa edizione della Scuola Estiva di Poblet ?
Penso sia stata un'esperienza molto positiva, un momento di confronto tra scienziati e filosofi, e con un’ampia presenza di studenti: abbiamo raddoppiato il numero dei partecipanti rispetto allo scorso anno, quest'anno eravamo una trentina di persone.Abbiamo scelto un tema particolarmente difficile, quello delle specie. E' stato un confronto direi anche arduo in alcuni giorni, ma senz'altro molto positivo. Si deve considerare che le scienze biologiche sono il campo scientifico con cui è più difficile un confronto, perché presentano una grandissima eterogeneità di metodi, di procedure, di settori di indagine, e in più oggigiorno sono scienze di cui si abusa molto in senso ideologico.Però nel complesso, come ho detto, ritengo che il risultato sia estremamente positivo, e che ci siano molte lezioni da trarre da questa esperienza; penso che vi siano insegnamenti di carattere generale, molto preziosi soprattutto per il nostro congresso sull'evoluzione (nel 2009), che ci fanno capire un po’ meglio come dovremo impostare nel futuro il dialogo su tali argomenti. Ma penso soprattutto che il frutto conclusivo sia stato molto importante, perché la definizione di specie, su cui torneremo tra poco, rappresenta un risultato nuovo e significativo.

Quali sono le particolari caratteristiche della Scuola estiva ?
L'aspetto interessante della scuola come tale, rispetto ad altre attività che noi svolgiamo nel quadro del Progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Quest), è certamente la possibilità di avere, per una settimana, un percorso comune di carattere scientifico, compreso un vero e proprio brainstorming, che non si svolge soltanto durante le sessioni ma anche nei momenti di convivialità, dove si continua a discutere appassionatamente.In più, in secondo luogo, vi è una dimensione sociale, di interazione personale tra i partecipanti, come anche una dimensione spirituale e religiosa, perché per la maggior parte di noi è molto importante avere la possibilità di partecipare alle celebrazioni e alle funzioni religiose, ovvero all'attività religiosa del Monastero.E infine c'è anche una dimensione sportiva e naturale, perché organizziamo passeggiate in montagna, a volte anche impegnative.Vi sono quindi diversi aspetti che coinvolgono il partecipante, e direi che è l'attività forse più tipicamente di college che svolgiamo con il Progetto STOQ al momento attuale.Anche questo penso sia importante, e si tratta di un qualcosa che in realtà esprime una potenzialità di carattere più generale. Credo, infatti, che con il Progetto STOQ abbiamo un unicum di cui non siamo forse ancora abbastanza consapevoli. Le sei Università Pontificie, forse sette, coinvolte nel Progetto STOQ, rappresentano un ateneo distribuito sull'intera città di Roma, che oltretutto è una delle città più belle del mondo; non credo che ci siano molte università, anche prestigiose, che possano competere con una potenziale articolazione del genere.In più, se si considera che le nostre istituzioni sono collegate, bene o male, tramite i nostri studenti, ma non solo, con decine di seminari, etc., noi rappresentiamo potenzialmente una forza, un bacino, di utenti e fruitori che semplicemente non ha paragoni con altre istituzioniUna realtà importante, quindi, che noi però sfruttiamo ancora poco.Diciamo che la Scuola è un modo per raccogliere, almeno una volta l'anno, gli studenti delle varie pontificie, farli interagire con i nostri docenti, creare una situazione tale per cui da tutti i diversi punti di vista di cui parlavo poc'anzi, si possa crescere insieme. Questo è il punto essenziale.

Perché, come titolo della Scuola estiva di quest'anno, avete scelto “definire l'indefinibile” ?
Questa è una famosa frase di Darwin, che in una lettera a Joseph Dalton Hooker (24 dicembre 1856), scriveva appunto che per un naturalista la definizione delle specie equivale al «tentativo di definire l'indefinibile» . Darwin infatti non definisce mai il concetto di specie. Nonostante il suo libro si chiami “l'Origine delle specie”, all'interno di questo volume non viene presentata alcuna definizione di specie. E lui stesso usa l'espressione “definire l'indefinibile” perché si rende conto dell'enorme difficoltà del problema, con cui noi ci siamo confrontati in questi giorni.Perché da un punto di vista diciamo tradizionale, se vogliamo più aristotelico, (che poi è anche il punto di vista che forse più ci interessa), tuttavia sostanzialmente statico, dato che Aristotele non aveva alcuna idea della teoria evolutiva, in fondo definire una specie sembra essere una operazione semplice, diciamo astrattamente parlando.
Ma quando si introduce un principio evolutivo, in cui dalle specie poi si distaccano diversi rami evolutivi, ossia si hanno processi di speciazione e la specie presenta una propria variabilità intrinseca, andare a definire che cosa sia specie diventa molto più difficoltoso; perché qual è il confine della specie ? Ovvero, quando si creano gruppi all'interno della specie (e se ne creano di continuo), quando questi cessano di essere la specie originaria e diventano una specie nuova ?
E' un confine molto difficile da stabilire, ed è un problema davvero enorme.La continua variabilità, in termini sia di mutazioni casuali da un punto di vista genetico, sia in termini di pressione ambientale, crea una difficoltà che è semplicemente ignota in altri campi. E' un problema veramente di grande complessità. Tenga presente che è relativamente semplice distinguere tra clades e clades (tra generi diversi) nella scala discendente, cioè quando si parte dai concetti più generali, tipo animale per esempio, e via via si scende, con livelli decrescenti di generalità, fino ad arrivare alla distinzione in mammiferi, etc.; anche se, va detto, non esistono criteri uniformi generali in base ai quali viene fatta questa classificazione. Sono soprattutto criteri ad hoc, e possono essere quindi criteri genetici, morfologici, etc..In ogni caso, fin qui si può procedere con una relativa facilità. Ma quando si arriva al concetto di specie, che sarebbe per così dire il genere più piccolo che raccoglie direttamente gli individui, e non c'è niente sotto di esso, si hanno difficoltà enormi. Perché non è più sufficiente vedere la differenza, ma sarebbe necessario avere delle specificazioni positive che individuino quella determinata specie particolare. E questa è una cosa enormemente difficile. Ed è questo il punto che ci ha spinto a fare la scuola.

Prima dell'intervista, lei e Padre Rafael Pascual LC affermavate che siete arrivati ad una nuova definizione del concetto di specie
Si; grazie al contributo di molti, si è potuto sostanzialmente esaminare durante le giornate della Scuola, ben 26 definizioni di specie (e non sono nemmeno tutte; sono solamente le definizioni più note, definizioni date da autorevoli evoluzionisti, persone come Mayr e tanti altri). Definizioni però che spesso hanno il difetto di essere sostanzialmente focalizzate sulle specie sessuate.Infatti, quando le specie sono sessuate è più facile definirle, dato che si può affermare che la specie rappresenti quel gruppo di animali, piante, comunque di organismi, che ha effettivamente incroci riproduttivi fertili.Però il vero problema è che queste definizioni colgono una parte abbastanza piccola di tutti gli organismi viventi, perché per quanto strano possa sembrare, gli organismi sessuati sono una minoranza.Quindi tale definizione lascia fuori del tutto ad esempio i batteri, che rappresentano una parte cospicua dell'ecosistema del nostro pianeta, e che hanno un sistema riproduttivo completamente diverso. Non hanno sessualità, è un modo riproduttivo orizzontale. Addirittura poi vi sono casi di organismi anche più complessi per esempio, di animali, in cui alcuni tipi sono sessuati, altri no, altri addirittura durante il corso della vita passano da un ciclo sessuale a uno asessuato e viceversa. Quindi andare a trovare una definizione di specie soltanto per i sessuati, rappresenta un problema, in qualche modo, perché è una grossa limitazione.
Cosa abbiamo quindi tentato di fare ?
Abbiamo tentato di individuare una definizione sufficientemente ampia; certamente è un primo passo, che però in questo modo arriva a coprire tutti gli organismi.Noi definiamo quindi la specie come un insieme di popolazioni con derivazione comune; qualitativamente discreto, perché secondo noi è molto importante che la specie sia individuata con una differenza qualitativa ben precisa (quindi con caratteri ereditari, che a loro volta sono soggetti a mutabilità): sia genetica, sia dovuta a condizionamento ambientale; fin qui la parte generale.Questo concetto poi viene a coincidere con quello tradizionale, biologico, di specie, laddove vi sia un sistema riproduttivo basato sulla sessualità biparentale.Adesso non voglio affermare che abbiamo fatto una scoperta rivoluzionaria, però è certamente un passo avanti, e rappresenta secondo me un risultato concreto. Fino a che punto innovativo lo sapremo nei prossimi anni. Quello che certamente posso auspicare fin da ora è che tra 4-5 anni ci si incontri nuovamente come scuola estiva sullo stesso tema, partendo da questa definizione, e vedendo come possiamo progredire. Questo è l'auspicio che posso formulare in questo momento.

Quindi su questo tema avete già programmato di confrontarvi con altre realtà, con altri studiosi ?
E' certamente uno dei nostri obiettivi, anche se per adesso non abbiamo ancora pensato ai modi in cui farlo, sia perché ormai siamo nel periodo estivo, sia perché siamo impegnati, come Università Gregoriana, nell'organizzazione del Convegno sull'Evoluzione per il 2009Però è certamente un argomento su cui vogliamo confrontarci, e anche per questo motivo quest'anno (lo scorso anno non ci siamo riusciti) dovremmo pubblicare gli atti, che dovrebbero essere già significativi per il mondo scientifico.Su ogni argomento, come Università Pontificie, come istituzioni della Chiesa in senso più ampio, siamo sempre profondamente interessati a confrontarci con opinioni differenti.Purtroppo molti si pongono non come interlocutori, ma come “avversari”, e ci accusano anche di voler strumentalizzare questi temi; in realtà penso che proprio questa scuola sia la prova che non vogliamo strumentalizzare nulla o nessuno; vogliamo semplicemente prima di tutto capirne di più noi, e per quanto sia possibile addirittura aggiornare i nostri programmi di ricerca filosofica e teologica, tenendo conto di queste problematiche; fare quindi dei passi avanti.

Quindi la Scuola è aperta anche a persone non credenti o comunque con differenti convinzioni religiose
La scuola non ha preclusioni rispetto a convinzioni filosofiche o religiose, tant'è che alcuni dei docenti invitati non si possono considerare del tutto cattolici, alcuni forse nemmeno dei credenti.Certo la scuola non è aperta indistintamente a tutti; lo è per docenti su invito, per i nostri studenti di dottorato delle varie università pontificie, più naturalmente alcuni eventuali licenziandi che possono avere, per una ragione o per un'altra, un interesse particolare a partecipare a queste attività, e infine per alcuni studenti provenienti da altre università: quest'anno abbiamo avuto ad esempio la partecipazione di una ragazza dell'Università di Pisa.Però certamente il pubblico cui questa scuola si dirige è costituito principalmente dai nostri studenti di dottorato, dalle varie università pontificie. Quindi non vi sono preclusioni, per quanto naturalmente la Scuola sia per principio qualcosa di chiuso, cioè non con una apertura indiscriminata.Aggiungerei anche che alla Scuola vi era un gruppo anche nutrito di docenti laici che non seguono necessariamente, anzi alcuni per nulla, le teorie evolutive della Chiesa.Noi siamo peraltro interessati anche a capire cosa queste persone hanno da dire, e sarebbe anzi un peccato non avvalerci delle loro competenze.Quindi non vedo su questo aspetto dei problemi. Ciascuno valuta le cose in completa autonomia, e come in ogni dialogo non vi è obbligo di sodalizio fino alla fine.
Quindi senza nessuna preclusione, però ovviamente questo non significa che condividiamo tutto.
Il tentativo che stiamo facendo tramite questa scuola, è analogo a tutte le attività STOQ: dal Convegno organizzato a novembre 2007 dall'Ateneo Regina Apostolorum, a quello che organizzeremo a marzo del prossimo anno, sono tentativi molto lodevoli di ridefinire questi temi, anche perché è purtroppo diffusa nella nostra società una gravissima confusione su di essi. Le persone in genere, anche buoni cattolici, ritengono che la teoria dell'evoluzione sia tutto sommato incompatibile con le posizioni della Chiesa cattolica e con la nostra fede.
Questo è un problema serio, perché le cose non stanno affatto così.
Noi siamo sottoposti a un massiccio bombardamento mediatico, spesso anche informativo, che ci induce a credere che la teoria dell'evoluzione, il darwinismo, siano tali quali vengono interpretati e presentati dalla parte materialista del mondo scientifico.
Queste persone, come Dawkins (per dire un nome abbastanza noto), in realtà fanno dell'ideologia. Quello che loro dicono non esprime la teorie dell'evoluzione ma esprime il loro pensiero personale, cioè la loro rielaborazione “metafisica” della teoria dell'evoluzione.
Noi cattolici non dobbiamo fare l'errore gravissimo di prendere ciò che questi signori ci dicono come se fosse “la teoria dell'evoluzione”.
Questo è proprio l'errore che noi a volte compiamo, cioè prendere sostanzialmente per buono quello che i nostri avversari ci dicono, come se fossero teorie definitive, e come se la loro interpretazione ideologica fosse “la teoria”.Nel 2005 ho avuto modo di leggere un numero completo del Nouvel Observateur dedicato all'evoluzione. In quel numero alcuni nomi autorevoli (qualcuno anche della Sorbona) sostenevano che la teoria dell'evoluzione dimostra che Dio non esiste.
Questa affermazione è, epistemologicamente parlando, erronea. Le cose che si possono effettivamente dimostrare in scienza sono molto poche. Poi si confondono i piani tra teologia e scienza naturale o tra filosofia e scienza naturale. Quindi dire che si possa dimostrare che Dio non esiste, non corrisponde ad alcun canone, non dico scientifico ma nemmeno argomentativo. Purtroppo però molti cattolici prendono queste cose per buone; questo è un errore che si commette molto spesso.Quindi fare luce su tali problematiche, mostrare cosa queste teorie scientifiche hanno da dirci, qual è il loro vero contenuto, questa è la sfida. Noi cominciamo proprio da qui: accertare cos'è il darwinismo, cos'è la teoria dell'evoluzione.
Il secondo punto fondamentale è quali siano i problemi che tali teorie sollevano, quali le questioni aperte che per noi anche sono interessanti; e quali sono gli stimoli che ci possono offrire, in cosa ci spingono anche a ripensare in parte le nostre conclusioni in ambiti filosofici e teologici.
Ecco, questo apre una strada nuova per la comprensione e il dialogo che riteniamo possa essere utile alla Chiesa ma forse anche alla comunità scientifica, nonché a tutti gli uomini di buona volontà.