Di Paolo Centofanti direttore SRM
Nel giornalismo è sempre esistita la verifica dei fatti, ovvero il necessario approfondimento e le necessarie ricerche, mirati a capire se una notizia su di un certo avvenimento sia autentica e ne siano corretti pure gli elementi corrispondenti alle famose 5 W e oltre: what - cosa ? who - chi ? when - quando ? why - perché ? where - dove ? e la pseudo w = how - come ? Allo stesso tempo si è sempre attuata - o si dovrebbe farlo ... - la verifica delle fonti: capire se la notizia è stata riportata in primis da fonti affidabili e autorevoli, o se provenga da qualche velina stampa troppo orientata, o sia persino una vera e propria bufala ... .
Sono anzi, queste due verifiche, strumenti base e imprescindibili della professione e dell'editoria giornalistica, senza i quali si rischia di fare non informazione, ma disinformazione, o gossip editoriale anche involontario, e creare o propagare quelle che oggi vengono chiamate fake news, facilitate e accelerate nella loro diffusione da strumenti come il web e i social network, che ormai vengono sempre più spesso presi anche come fonti. Con rischi ulteriori di contribuire al sistema di fake news o bufale, come si preferisce chiamarle, dovute sia alla velocità di propagazione virale del web e dei social network, sia alla maggiore velocità a cui oggi devono lavorare giornalisti e redazioni, per non bucare, come si dice in gergo, una vera notizia, ovvero perderla e non raccontarla ai propri lettori o spettatori, o per non rischiare di arrivare in tempo rispetto ad altre testate autorevoli.
Il fact checking, di cui si parla in questi giorni, e a cui è opportunamente dedicata la giornata del 2 aprile, è quindi sempre esistito, è anzi uno strumento imprescindibile del mestiere o della professione giornalistica. Personalmente me ne occupo, e ce ne occupiamo come testata, da almeno undici anni, da quando è partita questa avventura di raccontare con spirito critico il rapporto tra scienza e fede, e di analizzare criticamente notizie, posizioni, interpretazioni.
Perché questo è il nostro obiettivo, non fare apostolato, se non molto indirettamente; non orientare consensi o convincere qualcuno; non cercare di dimostrare noi cose affatto banali come i miracoli, le esperienze di premorte, o la vita dopo la morte; né sopra tutto attaccare strumentalmente o peggio ancora scorrettamente, pensatori o studiosi che siano su posizioni differenti.