martedì, marzo 04, 2008

Il dialogo tra Scienza e Fede nel Progetto STOQ - 1

L'Osservatore Romano pubblica sul tema del dialogo tra Scienza e Fede nel Progetto STOQ una intervista a Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e un articolo di Mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda, Sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Cultura e Coordinatore Generale del Progetto STOQ.

Ontogenesi, evoluzione, cosmologia: il dialogo non fa paura. Gianfranco Ravasi

di Luca M. Possati

Lo scopo del progetto Stoq è costruire un ponte filosofico tra teologia e scienza, favorire un sapere più globale e universale. Ma perché oggi pensare l'unità del sapere è diventato così difficile ?
È vero. Ci troviamo in un orizzonte nel quale domina sempre di più la conoscenza specialistica, e questo rappresenta un valore di per sé. Il problema è che la conoscenza specialistica tendenzialmente si orienta ad una forma di autosufficienza, di autoreferenzialità, costruisce quasi un'oasi propria nella quale tenta di trovare tutte le risposte possibili. Al contrario, la grande visione della Sapienza, la vera intelligenza del reale, è proprio quella che il mondo greco definiva con un termine suggestivo - methorios - che vuol dire letteralmente: "colui che sta sulle frontiere, sui crinali"; cioè colui che riesce a guardare dall'una e dall'altra parte pur mantenendo i piedi nel suo territorio. Per questo penso sia importante ritornare attraverso il dialogo a stabilire una nuova forma di conoscenza che sia "sulle frontiere", che tenga conto della diversità dei territori, ma non si rinchiuda, non alzi le barriere, restando ferma soltanto nella propria specializzazione. E questo deve valere sia per la teologia sia per la scienza.

Che tipo di "unità del sapere" il progetto intende costruire ? Come integrare prospettive e metodi diversi pur rispettandone la peculiarità e l'autonomia ?
Noi abbiamo sempre un unico oggetto al centro della nostra considerazione: la realtà dell'uomo. Realtà estremamente complessa; e passibile di analisi da prospettive differenti. Immaginiamo una riproduzione fotografica: sappiamo bene che essa non è mai la rappresentazione della realtà come tale, esclusiva e compiuta. Il risultato è sempre differente. Allo stesso modo, qualsiasi tipo di disciplina può dare una spiegazione, un'interpretazione esatta della realtà, la quale, tuttavia, ha bisogno anche di altre prospettive per essere veramente completa. In questa luce, direi che il progetto Stoq recupera la categoria del dialogo intesa in senso stretto, un dialogo che suppone voci, logos, ragionamenti intrecciati tra loro. Sarà quindi, il nostro, un lavoro paziente, contro tutte le odierne tentazioni di esclusivismo o di integralismo.

In che misura il progetto Stoq può rivolgersi anche ai non credenti o ai credenti di altre confessioni ?
È una delle sfide più complesse e delicate da affrontare. Il nostro desiderio è mantenere il più possibile il rigore dell'analisi teologica, senza cedimenti facili a sincretismi o a concordismi, e senza nessuna tentazione all'autodifesa che esclude qualsiasi possibilità di comunicazione. Il rigore del metodo è la cosa principale. Se si configura in maniera netta e precisa lo statuto della teologia e, allo stesso tempo, lo scienziato può disporre di tutti i canoni suoi propri, di tutte le qualifiche della sua ricerca, posta questa dichiarazione di principio, allora è chiaro che il dialogo diventa possibile. Non si deve imporre un modello all'altro, e viceversa. La vera difficoltà sta nel confronto tra i modelli, perché l'oggetto - dicevamo - è sempre lo stesso. Proprio seguendo tale linea, abbiamo intenzione di organizzare in futuro un convegno sulle teorie dell'evoluzione. Per quest'occasione chiameremo scienziati e teologi capaci di un lavoro rigoroso, senza esasperazioni scientiste o sbavature di tipo apologetico. Gli scienziati debbono sentirsi rispettati e tutelati nella loro libertà di ricerca, ma dovrebbero anche essere disponibili a confrontarsi con l'altro modello rigoroso teologico loro proposto. Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, quest'aspetto potrà essere costruito ove anche le altre religioni siano disponibili ad adottare un metodo altrettanto rigoroso.

Quali sono i temi su cui il progetto Stoq ha lavorato di più in questi anni ?
L'ultimo è stato quello dell'ontogenesi, cioè la formazione della persona umana in tutto l'itinerario di sviluppo, e quindi dall'inizio assoluto, l'embriologia, fino alla fine. Questa ricerca sull'ontogenesi è stato il frutto del convegno dello scorso novembre, forse il più impegnativo. Adesso le ricerche si stanno concentrando sul problema dell'evoluzione, o meglio sulle molteplici teorie dell'evoluzione. C'è stato poi un interesse molto forte sul tema dell'infinito, dal punto di vista fisico e da quello teologico. Un altro aspetto è quello della meccanica quantistica, le nuove teorie cosmologiche. Alla base, però, l'elemento sul quale io continuerò sempre ad insistere è il rigore epistemologico. Solo così si possono evitare i pregiudizi della scienza nei confronti della religione, spesso vista soltanto come un residuo mitico e irrazionale, e la diffidenza da parte della teologia verso la scienza nel momento in cui essa sembra voler ridurre l'uomo alla materia soltanto. Nella sua pienezza, invece, la scienza dev'essere autonoma e non prevaricatrice.

Quali sono le reazioni che il progetto ha suscitato nella comunità scientifica internazionale ?
Una dimensione internazionale esiste, a partire proprio dal Comitato scientifico alla base del progetto, costituito da sedici membri tra i quali un premio Nobel, scienziati, filosofi e teologi, anche non cattolici, tutte figure di livello mondiale. Anche per questo convegno sulle teorie dell'evoluzione cercheremo di coinvolgere una serie di studiosi di assoluto livello che hanno già dimostrato interesse. Un aspetto da sottolineare credo sia la curiosità che molti uomini di scienza hanno dimostrato per il fatto che un'iniziativa come questa, sia stata proposta e organizzata dalla Santa Sede. Tra parentesi, siamo riusciti a coinvolgere ormai tutte le università pontificie romane. L'ultima a mancare era l'Urbaniana. Adesso anche questo ateneo sta aderendo al progetto.

Avete incontrato finora dei problemi nella gestione del progetto ?
No. Non abbiamo avuto particolari difficoltà. Ultimamente ho cercato, mandando una mia delegazione negli Stati Uniti, di trovare nuovi fondi, perché non si tratta solo di fare convegni e incontri, di tenere viva la struttura fondamentale permanente, ma anche di dare la possibilità agli studenti delle università romane di continuare la ricerca con borse di studio. Risultati ce ne sono stati: abbiamo ricevuto sostegni interessanti da alcune istituzioni americane non solo cattoliche. Un elemento importantissimo del progetto è la diffusione. Lo scopo ultimo è quello di fondare una scuola articolata in più università che continui a muoversi, con alunni che possano diffondere questi metodi in tutto il mondo.

L'Osservatore Romano - 23 febbraio 2008, pagina 4