sabato, luglio 26, 2008

La disperata ricerca di una zattera di ghiaccio

Corrispondenza dall'Artico a bordo dell'«Amundsen»

Lo scioglimento della banchisa mette in pericolo la sopravvivenza di molti animali

da L'Osservatore Romano del 10 luglio 2008

Nell'Anno Polare Internazionale cinquantamila ricercatori, provenienti da sessanta Paesi, sono impegnati in duecentoventotto progetti scientifici per cercare di capire cosa sta succedendo ai poli e indagare a fondo sulle cause dell'attuale emergenza climatica.

I poli sono senza dubbio le zone più sconosciute della terra. Da circa un secolo sono stati conquistati dopo vari tentativi sfortunati, ma solo più tardi si è compresa la loro importanza. Infatti, nei ghiacci della Groenlandia e dell'Antartide sono conservati gli archivi del passato climatico del nostro pianeta. Si può, attraverso i carotaggi, sapere come è stato il clima anche fino a un milione di anni fa e si è visto che si sono susseguiti periodi caldi, come l'attuale, ed ere glaciali per l'interazione di molti fattori geofisici e astronomici.

Il mutamento attuale è però dovuto in gran parte all'attività umana ed è difficile da contrastare, anche se si può in qualche modo ancora mitigare.

Dal penultimo Anno Polare (1957) molte cose sono mutate nello studio della Terra. Soprattutto ci sono i satelliti che osservano di continuo le condizioni del pianeta. Già negli anni Settanta si scoprì al Polo Sud il cattivo stato dell'ozono, il prezioso gas che negli strati alti dell'atmosfera protegge la vita terrestre. Allora fu rilevato il famoso "buco dell'ozono". Presto però ci si accorse che anche nell'atmosfera del Polo Nord l'ozono era diminuito.In seguito sempre più spesso enormi iceberg si staccarono dalla calotta antartica. Si calcolò che nell'Antartide la perdita annuale dei ghiacci aumentava da centododici miliardi di tonnellate nel 1996 a centonovantasei miliardi di tonnellate nel 2006. Nello stesso periodo, l'area occidentale della Groenlandia si riscaldava e lo scioglimento dei suoi ghiacci cresceva del trenta per cento. Ciò sta portando a un innalzamento del livello del mare che preoccupa le zone costiere basse, e ha già determinato l'abbandono di alcuni atolli nel Pacifico ormai semisommersi dall'acqua.

Si è iniziato così a capire che le regioni polari sono le aree più vulnerabili dai cambiamenti climatici e che da lì bisogna ripartire per analizzare bene cosa sta succedendo e poter prevedere che cosa ci riserva il futuro. Nelle foto satellitari di trent'anni fa si vedeva che l'estensione ghiacciata del tetto del mondo, ossia della banchisa sul Mar Glaciale Artico, era in estate di sette-nove milioni di chilometri quadrati. Nell'estate del 2007 la calotta si è ridotta alla metà ossia a circa quattro milioni di chilometri quadrati. Lo scioglimento della banchisa artica per l'aumento globale della temperatura non ha come conseguenza l'innalzamento del livello del mare, ma, per esempio, provoca la diminuzione rilevante di orsi bianchi, foche e trichechi, che hanno bisogno di solide "zattere" di ghiaccio su cui fermarsi, figliare e far crescere i piccoli.

Inoltre si sta incrinando il delicato equilibrio ambientale fra le varie specie che si sono adattate a queste condizioni estreme. Da una ricerca fatta al largo delle Svalbard, sullo zooplancton e in particolare sui gamberetti che popolano quelle acque, si è visto che molti di questi organismi hanno bisogno del ghiaccio per vivere. Siccome la banchisa ghiacciata sta arretrando sempre di più, si osserva una minore popolazione di questi animaletti, che sono cibo di pesci, come il merluzzo artico. Ciò sta portando a una diminuzione dei pesci e di conseguenza a una diminuzione di foche e trichechi, che si nutrono di pesci, fino ad arrivare all'orso polare, predatore di foche e pesci. Gli scienziati temono l'estinzione di questi animali.Nell'Artico si stanno aprendo, intanto, nuovi territori per la ricerca di petrolio e gas, e il famoso "Passaggio a Nord-Ovest" sempre più libero dai ghiacci, potrebbe diventare il percorso abituale per le navi tra l'Asia e l'Europa. Gli ambientalisti e i ricercatori tremano a queste prospettive, perché l'area polare, che il clima avverso aveva preservato a lungo da inquinamento e devastazioni, cambierà inesorabilmente.

Le ultime previsioni davano l'Artico libero dai ghiacci entro il 2030, ma ci si è accorti che queste previsioni, come quelle riguardanti il Polo Sud, sono ottimistiche. Non tengono conto, infatti, della "risposta dinamica" dell'ambiente a causa della diminuzione della superficie ghiacciata. Per esempio, la banchisa riflette in gran parte la luce solare e, essendo isolante, non permette ai raggi di scaldare l'acqua sottostante. L'acqua libera, invece, più scura assorbe molta luce, aumentando di conseguenza la sua temperatura e sciogliendo il ghiaccio circostante: si crea così una reazione positiva.

Dall'Amundsen, la nave rompighiaccio canadese su cui un gruppo di scienziati sta studiando sul "campo" gli effetti del cambiamento climatico, è in questi giorni lanciato l'allarme sulla possibilità che già quest'estate il Polo Nord possa essere per la prima volta libero dai ghiacci.Ormai anche le enormi lingue glaciali, che si inoltrano nel mare dalla calotta antartica o da quella della Groenlandia, da cui si staccano sempre più spesso iceberg giganteschi, accelerano il loro moto e quindi il loro scioglimento. Per esempio, il Ghiacciaio Morto della Groenlandia, che non si era mai mosso da quando fu scoperto nel 1750, nel 2000 si è messo improvvisamente in movimento rapido, disperdendo iceberg nell'oceano.

Accadono altri fenomeni preoccupanti nelle terre all'estremo nord: il permafrost si sta sciogliendo. Il permafrost è un terreno congelato, rimasto così anche per millenni.

A Tuktoyaktuk, villaggio eschimese a sessantanove gradi di latitudine nord, per esempio, il permafrost incomincia mezzo metro sotto la superficie del terreno e raggiunge i milletrecento metri di profondità. Avendo intrappolato enormi quantità di materiale organico e quindi di carbonio, con il suo disgelo sprigionerà una gran quantità di gas serra (da cinquecento a mille miliardi di tonnellate) nella sua decomposizione. Ma i problemi dati dal disgelo del permafrost non si riducono solo a questo. Sul terreno, una volta saldo perché gelato, le popolazioni native delle regioni polari hanno costruito le loro case. Ora, con l'aumento della temperatura, le case sprofondano nel fango e i villaggi stanno diventando paludi.

© L'Osservatore Romano